dolore agli occhi i punti trigger
Il Trigger points
Trigger points, "punti grilletto", aree che manifestano tutto il loro potenziale a distanza.Possono, inoltre, non solo configurare una patologia autonoma, autosufficiente, automantenentesi nella SINDROME DOLOROSA DA PUNTI TRIGGER, ma possono sovrapporsi, embricarsi, associarsi, comparire, manifestarsi nel corso di uno svariato numero di altre patologie, fra cui il dolore oncologico; all'interno di questo è possibile che alcuni dolori siano legati alla presenza di punti trigger atipici e vanno trattati, e in cui il trattamento sistemico risulta inefficace.
Costituisce il capitolo più importante perché è una delle patologie con cui più frequentemente, direttamente o indirettamente, si ha a che fare. La conoscenza di questa patologia permette anche di spiegare l'efficacia di alcune terapie (mesoterapia, agopuntura, TENS, laser), e può portare a risultati molto soddisfacenti qualora si riesca ad inquadrare il problema.
Pare che non esistano altri trigger points se non quelli miofasciali e ciò non è vero: l'area dove è situato un trigger point non si può definire sempre come area mialgica, anche se la maggior parte sono miofasciali.
Un trigger point può essere presente nelle seguenti sedi: muscolo, giunzioni muscolo-tendinee, cute, periostio, cicatrici, legamenti, capsule articolari, fasce neuromuscolari.
Un trigger point lo possiamo definire come un focus di iperirritabilità circoscritto e ben definito, la maggior parte delle volte topograficamente ben identificabile (più o meno nella stessa area).
La pressione digitale determina dolore intenso con fenomeni di iperpatia quali la smorfia facciale e la retrazione della parte stimolata.
Il dolore evocato è un dolore riferito, vale a dire viene percepito in ben definite aree, dette aree bersaglio (TARGET AREAS), non in continuità topografica con il punto stimolato.
Mentre se tale continuità esiste si dovrebbe parlare di AREE MIALGICHE invece di trigger points, e di aree di dolore irradiato invece che aree bersaglio. Per semplicità si usano i due termini come sinonimi, essendo dal punto di vista terapeutico perfettamente sovrapponibili.
Spesso infatti le aree mialgiche e i trigger points hanno la stessa localizzazione, e non è noto perché in alcuni casi il dolore sia riferito ed in altri irradiato.
Il dolore comunque non segue le mappe dermatomeriche ma è caratteristico per ciascun punto trigger. Anzi, è proprio la loro costante localizzazione e delle relative aree bersaglio che ha consentito di disegnare delle mappe.
Il TRIGGER POINT si può definire:
- ATTIVO
- LATENTE
TRIGGER POINT ATTIVO
E' attivo un trigger la cui digitopressione è in grado di evocare un dolore a riposo e/o in movimento nella zona di referenza del TP stesso, cioè un dolore riferito, con un quadro che, nel caso in cui il trigger si situi in un muscolo o nella sua fascia, è specifico per quel muscolo; ad esso si associano disfunzione del muscolo in cui il trigger è presente, e, spesso, fenomeni autonomici riferiti specifici, generalmente nella zona di referenza del dolore. La sua digitopressione riproduce esattamente il dolore di cui il paziente soffre.Quindi il trigger attivo è:
- dolorabile;
- produce un quadro doloroso riferito specifico;
- si accompagna a disfunzione del muscolo in cui è presente ( incompleto allungamento e debolezza del muscolo sede di TP);
- si accompagna a fenomeni autonomici riferiti specifici nella zona di referenza del dolore (vasocostrizione locale, sudorazione, lacrimazione, corizza, salivazione, attività pilomotoria);
- la sua digitopressione evoca o riacutizza il dolore del paziente.
Il dolorabile può indicare che c'è iperalgesia e non solo dolore.
Il dolore che evoca al paziente ha queste caratteristiche:
- 1. Ciascun muscolo ha un proprio modello di dolore riferito o di dolore da trigger; vale a dire laddove il TP è all'interno di
un muscolo, riferisce o evoca un dolore dalla topografia ben definita sulla base del singolo muscolo interessato.
Cambia da muscolo a muscolo tanto che si possono disegnare delle vere e proprie mappe.
Quindi il dolore è caratteristico rispetto alla sede in cui è presente. - 2. E' un dolore sordo, assillante, spesso profondo, d'intensità variabile da sensazione fastidiosa a severa e inabilitante tortura.
Può essere presente a riposo e/o in movimento.
Il dolore del TP miofasciale è caratteristicamente peggiorato da:
- Sovraccarico del muscolo, specie se in posizione accorciata.
- Allungamento passivo del muscolo.
- Digitopressione del TP a riposo.
- Postura prolungata del muscolo interessato in posizione accorciata.
- Contrazioni ripetute e sostenute del muscolo.
- Freddo, umido, infezioni virali, stress psichici.
- Esposizioni a correnti fredde specie quando il muscolo è affaticato.
Il dolore e la rigidità hanno spesso il loro acme al mattino, quando il paziente scende dal letto, o quando il paziente si alza dopo aver mantenuto per un certo tempo una posizione seduta.
Il dolore è migliorato da:
- Breve periodo di riposo.
- Lento e costante allungamento passivo del muscolo con applicazioni esterne di caldo.
- Applicazione di caldo umido sul TP.
- Leggera attività per tempi brevi (non contrazioni isometriche).
- Compressione manuale del TP (Compression test) durante il movimento (laddove il paziente presenta dolore incidente e non a riposo).
- Specifica terapia miofasciale. - 3. da un punto di vista semeiologico il dolore da TP può non essere sempre riferito, cioè senza continuità topografica tra zona
di lesione e zona di percezione, spesso invece esiste continuità topografica e bisogna parlare di dolore irradiato. Dal punto di vista
terapeutico non cambia molto.
- 4. si accompagna ad iperalgesia muscolare nella zona di riferimento, cioè un paziente con dolore alla spalla da TP sul trapezio
alla palpazione della spalla ha iperalgesia.
Oltre all'iperalgesia abbiamo fenomeni autonomici: vasomotori, pilomotori, ecc. - 5. il dolore avvertito dal paziente non segue nessuna mappa metamerica, ma è specifica di quel trigger.
Riassumendo il dolore riferito da TP ha le seguenti caratteristiche:
- è CARATTERISTICO per ogni muscolo.
- è SPECIFICO per quel trigger, non segue alcuna mappa metamerica.
- si accompagna a IPERALGESIA, DISFUNZIONE MUSCOLARE E A FENOMENI AUTONOMICI.
- può essere RIFERITO O IRRADIATO.
MEMORANDUM
TONO O TENSIONE DEL MUSCOLO: è il numero di unità contrattili muscolari attivate in condizioni basali (in quel dato momento, a riposo o sotto carico).
CONTRAZIONE: aumentata tensione muscolare con (isotonica se contro un peso fisso e con movimento articolare) o senza (isometrica se senza movimento articolare) accorciamento delle fibre muscolari dovuta ad attività volontaria dell'unità motoria, cioè elicita potenziali d'azione.
SPASMO: come la contrazione, ma dovuta ad attività involontaria dell'unità motoria.
CONTRATTURA: nella sua definizione fisiologica è una contrazione senza potenziali d'azione dell'unità motoria, quindi è un'attivazione intrinseca sostenuta dal meccanismo contrattile delle fibre muscolari, con causa in loco (al contrario dello spasmo); può essere da acido lattico, da trigger, e si risolve con tecniche di rilassamento e di biofeedback (lo spasmo no). Nella sua definizione clinica è un accorciamento del muscolo dovuto a fibrosi del connettivo muscolare.
TRIGGER POINT LATENTE
Può riprodurre esattamente tutti i quadri clinici dell'attivo, tranne quello di dar luogo al dolore spontaneo del paziente. In assenza di stimolo il punto è clinicamente silente, rispetto al dolore, ma dà tutti gli altri quadri: disfunzione muscolare, fenomeni autonomici, ecc.Un TP latente può essere attivato da:
- Postura prolungata del muscolo interessato in posizione accorciata, come, ad es., durante il sonno.
- Raffreddamento del muscolo (non solo per correnti d'aria fredda), specialmente se questi è affaticato.
- Durante o dopo una patologia virale.
- Improvvisa e insolita contrazione di un muscolo sede di TP latente come nel caso della riattivazione in contrazione di un muscolo antagonista in seguito al rilassamento del muscolo agonista per effeto della terapia specifica del TP.
- PRIMARIO
- SATELLITE
- ASSOCIATO
- SECONDARIO
PRIMARIO
E' quell'area di iperirritabilità dolente alla digitopressione in grado di evocare il dolore che ha il paziente, la cui attività non dipende da nessun altro punto trigger. È attivato direttamente da sforzi acuti, fatica da sovraccarico cronico (contrazioni eccessive, ripetute e sostenute), traumi, freddo.
ASSOCIATO
Sono uno o più punti trigger la cui presenza e attività è legata alla presenza a all'attività di un trigger primario.
SATELLITE
E' un trigger collocato nel muscolo sede di dolore riferito da parte di un altro trigger o da parte di patologie viscerali o somatiche.Vale a dire un punto trigger associato si dice satellite quando la sua presenza e attività è legata al fatto che si trovi all'interno dell'area del dolore riferito, vuoi dovuto ad un altro trigger point vuoi ad una patologia viscerale (punto di Mc Burney, ecc.) o somatica.
SECONDARIO
Un punto trigger associato si definisce secondario quando è collocato sul muscolo sinergico o antagonista del muscolo sede di trigger primario; per esempio, trigger primario sul bicipite, trigger secondario sul tricipite.
Quindi un trigger p. si dice associato quando deve la sua presenza ed attività all'esistenza di un trigger primario; dipendentemente alla sua topografia possiamo definirlo satellite o secondario.
Esempio: un trigger sullo scaleno irradiato alla spalla. La disattivazione del trigger da luogo a una reazione intensa che può eccitare il trigger point satellite o secondario con peggioramento e cambiamento della sintomatologia (parestesia della mano, ...); questa è chiamata "REGOLA DEL DOMINO".
Il muscolo sede di trigger è rigido, accorciato, debole, non lavora quasi più: lo vicaria il muscolo sinergico e con un sovraccarico anche del muscolo antagonista che può diventare a sua volta sede di trigger.
TRIGGERS DEL TRIGEMINO
Non è un vero e proprio trigger point ma un focus di irritabilità, ma il dolore scatenato è proiettato e non riferito né irradiato, attivato dal semplice sfioramento o cambiamento di temperatura, mentre per definizione occorre la digitopressione. Dovrebbero essere definiti "ZONE DI ATTIVAZIONE DELLA SINTOMATOLOGIA".DIAGNOSI DI TRIGGER POINT ATTIVO
Nei casi ci sia incertezza sul rapporto tra trigger point e area bersaglio si possono usare i seguenti criteri diagnostici di identificazione del punto trigger attivo:- 1. Storia di esordio improvviso durante o subito dopo uno sforzo acuto, oppure esordio graduale da sovraccarico cronico del muscolo affetto.
- SEGNO DELLA "CORDA", il muscolo che contiene un TP (o più di uno) presenta bande miofasciali ben palpabili, rigide di consistenza cordoniforme o nodulare.
- SEGNO DEL "JUMP", all'interno della banda miofasciale rigida, palpando a scatto trasversalmente alla direzione dei fasci muscolari si evidenzia un'area focale di dolorabilità che induce una consistente contrattura muscolare locale di breve durata, che può essere accompagnata da una viva reazione del paziente (iperpatia).
- Debolezza e riduzione del grado di allungamento del muscolo interessato, senza atrofia. Il gruppo muscolare esaminato si presenta rigido, accorciato e indebolito. L'allungamento passivo del muscolo interessato aumenta il dolore, così come la contrazione contro una resistenza fissa.
- IPERALGESIA DELLA PIEGA CUTANEA, fastidio locale quando venga sollevata una plica cutanea sovrastante il TP.
- Iperemia o presenza di dermografismo bianco o panniculosi sulla cute sovrastante un TP, in seguito a sfioramento, palpazione della cute stessa, skin rolling test.
- Caratteristico dolore riferito o irradiato, specifico per quel muscolo, riprodotto dalla digitopressione o puntura dello spot dolorabile. Iperalgesia profonda e disestesia sono comunemente presenti nell'area di dolore riferito; così come alterazioni non-sensoriali quali: disturbi autonomici e propriocettivi.
- Eliminazione dei sintomi attraverso una terapia diretta specificamente al muscolo affetto.
- PALPAZIONE A PIATTO (Flat palpation):
Può effettuarsi per quei muscoli che possono essere compressi su un piano osseo. Va eseguita non con il palmo della mano, ma con le dita in abduzione utilizzando la falange distale, con movimento trasversale, perpendicolare rispetto alla lunghezza e al decorso delle fibre del muscolo da esplorare, in modo da far scivolare il tessuto sottocutaneo sulle fibre muscolari.
La prima cosa da fare dopo il sospetto dell'esistenza della patologia, è di mettere in stretching la parte, in modo tale che il paziente assuma una posizione che metta in estensione il gruppo muscolare interessato fino quasi alla percezione di un leggero dolore spontaneo, senza però elicitare un dolore riferito.
Occorre effettuare la palpazione con intensità leggero-medio, procedendo perpendicolarmente al decorso principale delle fibre. Quello che ci evidenzia per primo se il muscolo è sede di trigger è il "SEGNO DELLA CORDA": non la classica compattezza della fascia muscolare, ma un aspetto cordoniforme, come una corda tesa: subito dopo la palpazione si evidenzia una iperemia, raramente un dermografismo bianco, più frequentemente il dermografismo rosso.
L'esistenza di queste bande è resa possibile quando la muscolatura sovrasta una struttura ossea, mentre per muscoli tipo lo sternocleidomastoideo e lo scaleno mancando un supporto rigido sottostante occorre effettuare la palpazione a pinzettamento. - PALPAZIONE A SCATTO (Snapping palpation):
lungo la banda tesa, quindi avendo avuto le indicazioni sulla conoscenza delle mappe dei trigger e del loro dolore riferito, si esegue la palpazione a scatto (la banda va "pizzicata" come una corda della chitarra) laddove il muscolo è supportato da una superficie dura, altrimenti si effettua un pinzettamento fisso, e si va a scovare all'interno di questa banda tesa quel focus di massima sensibilità tale che la pressione che si esercita su di esso elicita una consistente contrattura muscolare locale di breve durata di quel segmento esplorato, che si percepisce come un nodulo, e che riproduce il dolore del paziente (quando il trigger è attivo), cioè un dolore locale intenso e il dolore riferito.
Se trovo il punto trigger avrò un dolore locale con iperalgesia, e il SEGNO DEL SALTO (viva reazione del paziente). - PALPAZIONE A PINZETTAMENTO (Pincer palpation)
Si esegue afferrando il ventre muscolare interessato tra pollice e dita e sfregando le fibre tra di loro con un movimento di rolling avanti e dietro per localizzare le bande tese. Una volta localizzate, si esplorano nella loro lunghezza per evidenziare lo spot di massima sensibilità in risposta alla minima pressione:il TP.
Sono fondamentali nella attivazione e nello sviluppo dei trigger i fattori di perpetuazione o meglio di autosostentamento. Sono moltissimi, alcuni sono costituzionali e genetici, e determinano l'assetto, il tono, il trofismo dei specifici punti.
Al primo posto ci sono i cosiddetti STRESS MECCANICI, che possiamo inquadrare come 1)"inadeguatezze posturali", in particolare asimmetrie scheletriche (arti corti o emipelvi piccole) e disproporzioni (II metatarsi lunghi); 2)"stress posturali"cioè tutte quelle posture sbagliate per cui si sovraccarica un muscolo e si scarica completamente un'altra; 3) fattori che comportano compressione o costrizione muscolare (portare borse o cartelle pesanti, cinte, ecc.).
Altri fattori sono:
DEFICIT NUTRIZIONALI, carenze croniche di vit. B1, B6, B12,C, ac. folico;
ALTERAZIONI METABOLICHE O ENDOCRINE, ipotiroidismo, ipoglicemia, iperuricemia, anemia, alterazioni circolatorie;
FATTORI PSICOLOGICI: depressione, tensione da ansia;
PROCESSI INFETTIVI CRONICI, sia batterici che virali;
ALTRI FATTORI quali: allergie, alterazioni del sonno, radicolopatie, malattie viscerali croniche.
Un trauma diretto o il freddo intenso sono stimoli diretti per l'attivazione di un trigger, ma possono essere rapidamente compensati, per cui un TP attivo diventa latente, laddove non esistano questi fattori perpetuanti che impediscono la disattivazione, pur non essendo essi stessi causa diretta di attivazione del TP.
Nello sviluppo di TP sono colpite maggiormente le donne di media età, sedentarie, in quanto molto importante è la condizione di forma della muscolatura: più un muscolo è in forma e più resiste alla formazione di TP. Molto esposto è anche il soggetto attivo che smette improvvisamente di fare sport.
Quindi stimoli diretti e stimoli indiretti si intrecciano nella genesi dei trigger point. Nell'anamnesi bisogna sempre chiedere se il dolore è insorto acutamente o gradatamente (quindi qualche giorno o qualche settimana dopo un evento traumatico, oppure per un sovraccarico cronico che determina una contrazione eccessiva sostenuta o ripetuta di movimenti poco usuali), oppure esposizioni al freddo.
Alcune volte anche la terapia può provocare dolore attivando un trigger: per esempio se abbiamo un muscolo agonista sede di trigger e trattandolo provochiamo l'improvviso cedimento della struttura per l'allungamento dovuto alla disattivazione della contrattura difensiva, provoca nei muscoli sinergici o vicarianti o antagonisti l'insorgenza di trigger attivi, non avendo avuto il tempo di controbilanciare la nuova situazione muscolare venutasi a creare subitaneamente dopo la terapia.
Nell'ambito delle patologie muscolo-scheletriche la parte più difficile è la diagnosi differenziale tra patologia dolorosa miofasciale e patologia dolorosa non miofasciale.
Le principali sindromi dolorose caratterizzate dalla presenza di TP: periartrite scapolo-omerale, alcune forme di cervicobrachialgie e le lombosciatalgie, alcune rachialgie, la cefalea muscolo-tensiva, le cicatrici dolorose.
EZIOPATOGENESI
Attraverso i meccanismi neuromuscolari conosciuti è possibile dare spiegazioni parziali, dovendo intervenire ulteriori studi per coprire gli intervalli.Uno sfozo muscolare acuto o un sovraccarico cronico possono condurre a lesione tessutale con interessamento degli elementi contrattili, ed in particolare del reticolo sarcoplasmatico, con liberazione del Ca++ in esso contenuto ed incapacità, di quella porzione di muscolo, di rimuoverlo.
La presenza combinata di un normale livello di ATP e di un eccesso di Ca++ darà inizio, e manterrà, una contrattura delle fibre esposte. A questo si aggiunge una intensa vasocostrizione locale dovuta a:
- cause locali: accumulo di piastrine ricche di serotonina (vasocostrittore locale); oltre a svariate altre sostanze sensibilizzanti quali chinine, prostaglandine, istamina, ecc.;
- e/o a meccanismi simpatico-riflessi.
Tutto ciò crea una regione di ipermetabolismo con ridotta circolazione che comporta:
- una contrattura indipendente dalla propagazione di potenziali d'azione;
- un accumulo di metaboliti vasoattivi e algogeni.
A questa prima fase ne farebbe seguito una seconda di totale deplezione di ATP che causerebbe una contrattura muscolare con silenzio elettrico, come nella sindrome di McArdle, nel deficit di carnitina e nel rigor mortis: la miosina non si rilascia dai filamenti di actina ed i sarcomeri si mantengono rigidi a quella lunghezza.
Questo farebbe presupporre l'esistenza di una regione di "metabolismo mutilato" che circonda l'area del deficit di ATP che fa sì da impedire un rifornimento.
TERAPIA "INJECTION AND STRETCH"
- A paziente disteso, iniettare nel TP, con tecnica sterile, Procaina 0,5% in soluzione salina isotonica, fino a rendere insensibile l'area.
- Subito dopo l'iniezione, allungare passivamente il muscolo spruzzando rapidamente, lungo assi paralleli, un anestetico spray (Fluori-metano piuttosto che Cloruro di Etile).
- Applicare compresse calde per alcuni minuti, per ridurre il dolore postiniettivo.
- Far muovere attivamente il muscolo in tutta la sua estensione di movimento.
- Se rimane una qualunque area d'ipersensibilità locale o una qualunque restrizione di movimento, allungare e spruzzare nuvamente l'intera unità miotattica, agonisti e antagonisti.
Nevralgia del Trigemino
di Health Promoting Hospital - Ospedali per la Promozione della SaluteScarica il PDF
Per alcuni, può voler dire brevi episodi di dolore facciale che arrivano come un fulmine a ciel sereno e scompaiono altrettanto rapidamente. Per altri, il dolore è implacabile, come frecciate che finiscono per essere un tormento per la persona colpita.
Qualunque sia la vostra situazione, dovete sapere che la nevralgia del trigemino è una malattia ben curabile, in cui una cura efficace e in molti casi, una risoluzione a lungo termine del dolore, sono obiettivi raggiungibili.
Questa malattia, se non curata, può diventare un problema cronico.
Oggigiorno, farmaci efficaci ed eccellenti tecniche neurochirurgiche possono dare al paziente risposte efficaci.
Cos'E' la nevralgia del Trigemino?
La nevralgia del trigemino, conosciuta anche come tic doloroso, è un dolore al viso straziante che tende ad iniziare e finire rapidamente, con attacchi simili a scosse elettriche.E' una malattia cronica del nervo trigemino (quinto nervo cranico), il più grosso delle dodici paia di nervi cranici del nostro corpo.
Il nervo trigemino ha tre branche che portano al cervello la sensibilità della parte superiore, media ed inferiore del volto e della cavità orale.
SUPERIORE
I branca (oftalmica): occhio, sopracciglio, fronte e porzione frontale del cuoio capelluto.MEDIA:
II branca (mascellare): labbro superiore, arcata dentaria superiore, gengiva superiore, palpebra inferiore, guancia e lato del naso.INFERIORE:
III branca (mandibolare): labbro inferiore, arcata dentaria inferiore, gengiva inferiore, bordo della lingua. Copre anche una stretta zona che si estende dalla mandibola al davanti dell'orecchio, fino al lato della testa.Gli attacchi dolorosi di nevralgia del trigemino possono coinvolgere una o più branche. Più comunemente sono coinvolte la branca media o quella inferiore, sia da sole che in combinazione con le altre. Solo il 4% dei pazienti ha dolore alla branca superiore.
In rari casi sono coinvolte tutte le tre branche. La parte destra del viso è più frequentemente colpita della sinistra. In una piccola percentuale di pazienti il dolore colpisce i due lati del viso, ma quasi mai contemporaneamente. L'area d'innervazione della branca coinvolta determina il tipo di disturbi che il paziente descrive al medico.
E' estremamente importante che il paziente dia una chiara descrizione della zona in cui il dolore è avvertito ed il carattere del disturbo (costante, simile ad una stilettata, come una scossa elettrica, urente etc.) perché questo faciliterà la diagnosi ed i consigli per la cura. Poiché la maggior parte dei pazienti ha un coinvolgimento della branca media ed inferiore, molti dei sintomi iniziali sono avvertiti ai denti ed alle gengive.
Molti pazienti hanno dolore sordo e continuo ed una ipersensibilità al caldo ed al freddo prima dell'inizio dei sintomi più intensi e classici della Nevralgia del Trigemino. Questo periodo, denominato prenevralgia trigeminale, rappresenta una considerevole sfida diagnostica, specialmente per il dentista che è, molto spesso, il primo sanitario al quale il paziente si rivolge.
Ma il dolore da Nevralgia del Trigemino non è provocato da problemi dentali. Quello che può sembrare un mal di denti può essere un sintomo precoce di Nevralgia del Trigemino.
Non è raro che un paziente con Nevralgia del Trigemino veda una gran quantità di dentisti, stomatologi, otoiatri etc.
Molti trattamenti (cure canalari, estrazioni etc.) sono praticati senza risultato finché il dolore peggiora regolarmente ed appaiono i più classici sintomi di Nevralgia del Trigemino.
Come viene diagnosticata la nevralgia del Trigemino?
La classica Nevralgia del Trigemino ha sintomi specifici che la distinguono in modo chiaro da altre forme di dolore facciale.- Il dolore è breve, a scoppi acuti piuttosto che un dolore torpido e costante. Spesso viene descritto come una scossa elettrica.
- Il dolore è spesso scatenato da un lieve tocco o dalla sensibilità alle vibrazioni o alla spazzolatura dei denti, dal farsi la barba, da un leggero vento, da un bacio delicato, dal parlare etc.
- Il dolore ha la tendenza ad iniziare e finire con periodi di dolore intenso, talvolta completamente debilitante, seguiti da periodi di remissione, completamente privi di dolore che possono durare settimane, mesi o anche anni.
- Molti pazienti hanno dolore durante il giorno, mentre sono alzati. Generalmente non hanno dolore mentre dormono a meno che non siano stimolati dalla biancheria del letto o dai cambiamenti di posizione.
Molti medici consigliano una RMN o una TAC dell'encefalo assieme ad esami di laboratorio. Questi accertamenti cercano di escludere altre possibili cause del dolore, come tumori, sclerosi multipla etc.
Non esiste nessun esame specifico per confermare la diagnosi di Nevralgia del Trigemino.
Cause di nevralgia del Trigemino
Esistono molte teorie sulla causa della nevralgia del trigemino, ma nessuna di esse è accettata da tutti i medici.La maggioranza degli specialisti pensa che la copertura protettiva (guaina mielinica) del nervo trigemino si deteriori permettendo così ad un messaggio anomalo (dolore) di passare lungo il nervo.
Questi cambiamenti della copertura del nervo possono essere prodotti dalla compressione da parte di vasi sanguigni, tumori, sclerosi multipla (che causa un danno nella guaina mielinica del nervo), da traumi al nervo o semplicemente dal processo d'invecchiamento.
La causa più frequente è comunque la compressione che un vaso sanguigno esercita sul nervo Trigemino.
Alcuni casi di dolore facciale sono causati dall'herpes virus dopo la malattia comunemente chiamata "Fuoco di Sant'Antonio" ma sono più correttamente identificati come nevralgia post-erpetica piuttosto che come Nevralgia del Trigemino.
Questa forma di nevralgia è trattata in modo diverso, abitualmente con farmaci antivirali ed antidepressivi che cambiano la trasmissione del segnale nervoso e diminuiscono il dolore.
Chi è colpito dalla nevralgia del Trigemino?
Uno studio iniziale indica che la Nevralgia del Trigemino colpisce una persona su 25000 con una maggiore incidenza nelle donne rispetto agli uomini. Si stima che ogni anno 15000 nuovi casi vengano diagnosticati.Sono necessari più dati per confermare l'attuale incidenza di questa malattia nella popolazione. Molti casi di Nevralgia del Trigemino sono diagnosticati nei bambini.
C'è un'incidenza del 5% di familiarità di Nevralgia del Trigemino.
Trattamento della nevralgia del Trigemino
Esiste una crescente possibilità di trattamenti della Nevralgia del Trigemino, che include terapie farmacologiche e chirurgiche.IL TRATTAMENTO MEDICO
da provare consiste nell'assunzione di farmaci, il più usato E' il Tegretol (Carbamazepina). Durante tutte le fasi di trattamento farmacologico i pazienti devono avere una buona comunicazione con il loro medico ed essere istruiti sul monitoraggio e sulle reazioni dei farmaci.Il paziente deve sapere che è necessario mantenere un livello adeguato del farmaco nel sangue per un buon sollievo dal dolore: prendere il farmaco in modo irregolare è sbagliato! Dopo che il paziente è senza dolore per 4-6 settimane, il farmaco viene gradualmente ridotto.
La sospensione improvvisa del farmaco può provocare seri effetti collaterali.
Gli analgesici, per esempio l'aspirina ed i narcotici, non sono efficaci per controllare il dolore da Nevralgia del Trigemino giacché i dolori sono dell'intensità di una scossa elettrica e gli attacchi di breve durata.
LE PROCEDURE CHIRURGICHE
sono riservate ai pazienti che non tollerano la terapia con i farmaci ed hanno severi effetti collaterali da questa terapia. Inoltre la terapia microchirurgica è indicata in tutti i pazienti giovani e per coloro che non vogliono prendere farmaci per tutta la vita.
Spesso, all'inizio, i farmaci hanno un buon effetto ma, dopo un po' di tempo (assuefazione), può rendersi necessario il loro aumento con conseguente comparsa di severi effetti collaterali. In questi casi è possibile eseguire l'intervento chirurgico di decompressione del nervo trigemino da parte dei vasi sanguigni.
Questo si esegue in anestesia generale e generalmente il paziente rimane ricoverato per 4-5 giorni e può riprendere una vita normale dopo 2-3 settimane.
L'intervento dà un risultato positivo (scomparsa del dolore) e duraturo nell'85% dei casi. Il rischio di complicazioni è intorno al 2-3%.
Un'alternativa all'intervento è l'esecuzione di una procedura chirurgica di minore entità con una degenza di un solo giorno, che consiste nel distrugggere una parte del nervo per via percutanea.
Purtroppo questa terapia, se efficace, è solo temporanea (mentre la tecnica descritta prima è duratura) e lascia il paziente con una diminuita sensibilità a livello del viso e della lingua (la stessa sensazione che si ha dopo un'estrazione dentaria) che può essere molto sgradevole.
Questa procedura può essere però ripetuta nel tempo.
L' arterite giganto cellulare (arterite di Horton)
di Dott. Francesco Paolo Cavatorta e Dott. Giuseppe PaolazziU.O. Reumatologia H. Santa Chiara , Trento
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L'arterite giganto cellulare, detta arterite di Horton o arterite temporale, fa parte delle vasculiti dei grossi vasi; tra tutte le malattie infiammatorie che interessano i vasi arteriosi, è senza dubbio, la più frequente.
E' una malattia che colpisce dopo i 50 anni; la media dell'età dei pazienti affetti da questa malattia è di circa 73 anni.
Il rapporto donne uomini e a favore delle donne di circa 2 a 1. Questa malattia è strettamente correlata a un'altra malattia infiammatoria di frequente riscontro: la polimialgia reumatica.
Circa il 16-21% dei pazienti con polimialgia reumatica sviluppa una arterite giganto cellulare e il 40-60% dei pazienti con arterite giganto cellulare ha anche una polimialgia reumatica. Proprio per questa importante correlazione tra queste due malattie molti esperti ritengono che queste siano, in effetti, solo una manifestazione clinica diversa di una stessa entità patologica. L'arterite giganto cellulare interessa prevalentemente i rami arteriosi che nascono dall'arco dell'aorta e, in particolar modo, i vasi extracranici.
Proprio questa sua predilezione è alla base di un altro nome che spesso viene dato a questa malattia: arterite temporale; questa arteria, che irrora i tessuti della zona zigomatica e frontale della faccia e la zona parietale del cuoio capelluto, è spesso colpita; l'interessamento di quest'arteria è la causa di una delle complicanza più temibili di questa malattia ovvero la perdita della vista a carico di un occhio.
Tale complicanza insorge spesso acutamente o con pochi e fugaci preavvisi quali offuscamento della vista, amaurosi (perdita temporanea e fugace della vista), allucinazioni visive, diplopia. Questi sintomi devono essere considerati una vera e propria emergenza medica in quanto il pronto intervento terapeutico è in grado di evitare la perdita completa della vista che, quando instaurata, è quasi sempre irreversibile.
L'interessamento dell'arteria temporale dà ragione della sintomatologia che spesso lamentano i pazienti: cefalea intensa di nuova insorgenza; dolore al solo sfioramento del cuoio capelluto, dolore a pettinarsi, dolore alle guance e/o alla lingua e/o al faringe durante la masticazione e/o deglutizione.
I sintomi oculari come detto possono essere amaurosi, diplopia, allucinazioni visive. Oltre a questi sintomi i pazienti possono presentare una sintomatologia sistemica, aspecifica: febbre, malessere, anemia, perdita di peso. I sintomi legati all'interessamento dei vasi cranici sono quelli che ci permettono di porre la diagnosi.
Anche se l'arteria temporale è quella più frequentemente colpita, possono essere coinvolte anche altre arterie e, in base alle arterie interessate, avremo dei sintomi diversi. Dall'arco aortico difatti originano le arterie che irrorano gli arti superiori che, se colpite potranno determinare dolore e/o stanchezza alle braccia quando vengono sottoposte ad uno sforzo anche se di lieve entità; originano le arterie che irrorano il cervello che se colpite potranno determinare ictus o vertigini o sordità o agitazione o stato confusionale.
Le arterie che irrorano l'intestino possono determinare un infarto intestinale: in tal caso i paziente lamenteranno un forte dolore addominale. E' stato descritto anche l'interessamento delle arterie coronarie in pazienti che hanno avuto un infarto miocardio acuto. Più raramente vi può essere l'interessamento delle arterie degli arti inferiori che potrà determinare dolore alle gambe per sforzi di media o lieve entità.
La sintomatologia che può riferire un paziente affetto da arterite giganto cellulare può essere quindi estremamente varia. La dimostrazione dell'impegno arterioso di diverse arterie, oltre a quelle che irrorano il cranio, ci è stata data negli ultimi anni da indagini strumentali quali la risonanza magnetica, l'ecografia ed infine la PET-TC.
In un 10-15% dei pazienti è interessata l'arteria ascellare e meno frequentemente le arterie degli arti inferiori. L'interessamento di quest'ultimo distretto è meno studiato in quanto spesso il coinvolgimento delle arterie degli arti inferiori decorre per un lungo periodo asintomatico.
I pazienti con pregressa storia di polimialgia reumatica hanno un rischio aumentato di due volte e mezzo di andare incontro ad arteriopatia obiliterante degli arti inferiori; a questo punto è legittimo il dubbio se attribuire questo a un processo aterosclerotico o bensì ad una vasculite subclinica che con il tempo ha esitato in lesioni arteriose stenotiche con conseguente mancata irrorazione dei tessuti.
Studi recenti hanno mostrato che vi sono diversi sottogruppi di malattia.
I pazienti con una arterite delle arterie temporali con i classici sintomi (cefalea intensa, dolore a masticare), hanno con più frequenza un coinvolgimento oculare, mentre coloro che presentano un interessamento di altri rami dell'aorta quali le succlavie, hanno con meno frequenza un coinvolgimento dell'occhio; in questi paziente la biopsia dell'arteria temporale risulta più frequentemente negativa.
Studi sul tipo e diversità dell'infiltrato infiammatorio nei pazienti hanno documentato una maggiore presenza di cellule giganti (cellule con più nuclei) nei pazienti con complicanza visive rispetto agli altri.
Atttualmente disponiamo di metodiche strumentali che ci consentono di apprezzare l'infiammazione della parete arteriosa; queste sono estremamente utili sia nella diagnosi della malattia sia nel definire l'estensione di quest'ultima. L'interessamento di alcuni vasi rispetto ad altri comporta un diverso comportamento clinico della malattia e pertanto queste metodiche sono anche utili nel prevedere l'evoluzione della malattia stessa permettendo pertanto anche una valutazione prognostica.
Le metodiche per immagine utilizzabili sono la risonanza magnetica, l'ecografia e la PET-TC; l'angiografia è stata soppiantata dalle prime tre metodiche ed è riservata solo a casi selezionati. L'ecografia in questi ultimi anni ha mostrato essere una metodica discretamente sensibile e molto specifica nel dimostrare l'infiammazione della parete arteriosa dei grandi vasi, in particolare nell'arterite giganto cellulare, dove il processo infiammatorio è iperacuto; vi è un ispessimento della parete vasale che all'ecografia appare come un alone nero periarterioso distribuito in modo omogeneo lungo tutto il vaso.
Questa malattia determina tipicamente una infiammazione di alcuni tratti della parete arteriosa risparmiandone altri, in altre parole vi sono dei tratti in cui la parete e normale alternati da altri che presentano infiammazione. La possibilità di studiare con l'ecografo lunghi tratti dell'arteria permette di individuare il tratto infiammato e di indirizzare una eventuale biopsia che, se fatta alla cieca, potrebbe risultare falsamente negativa ne caso venisse biopticata una zona dell'arteria risparmiata dalla malattia.
In conclusione l'ecografia ci consente di fare diagnosi di malattia, studiare più arterie quale la temporale, l'ascellare, la femorale, la poplitea, permettendoci di determinare l'estensione della malattia e il possibile comportamento clinico di questa aiutandoci pertanto a formulare una prognosi. Non tutte le arterie sono però ben esplorabili con l'ecografo; le arterie difficilmente raggiungibili con l'ecografia, come l'aorta toracica, le mesenteriche ecc, possono essere studiate con la risonanza e ancor meglio, con la PET-TC.
Con la risonanza si può apprezzare lo spessore del vaso interessato, che genera un segnale che aumenta dopo la somministrazione di mezzo di contrasto (Gadolinio); in questo modo si è in grado di apprezzare l'infiammazione della parete anche dell'arteria temporale quando si utilizza una macchina di risonanza ad alto campo (3 Tesla). La PET-TC ha una sensibilità lievemente maggiore della risonanza. Questo esame ha il vantaggio di associare la TAC alla PET. La prima è una metodica che ci fornisce delle immagini (indagine morfologica), la seconda, invece, è una metodica che rileva l'intensità di utilizzo del glucosio (indagine funzionale).
Maggiore è l'attivazione e la moltiplicazione cellulare e maggiore è il consumo di glucosio, un tessuto infiammato è ricco di cellule attive, pertanto, è individuato con la PET che, abbinata alla TAC, ci permette di localizzare il tessuto infiammato. Per la sua caratteristica mentre la PET ha un'ottima sensibilità nel rilevare l'infiammazione a carico dell'aorta dei suoi rami collaterali e delle arterie degli arti superiori e degli arti inferiori non è in grado di rilevare l'infiammazione a livello delle arterie temporali poiché vicine al cervello che, come noto, ha un elevato consumo di glucosio.
Queste metodiche hanno consentito di dimostrare che l'arterite giganto cellulare non è limitata alle arterie extracraniche, ma può coinvolgere tutti i vasi arteriosi di grande calibro, anche se quelli maggiormente colpiti sono quelli che originano dall'arco dell'aorta che sono quelli che irrorano il cranio e gli arti superiori.
L'arterite giganto cellulare è una malattia che inizia generalmente acutamente è che risponde velocemente alla terapia steroidea, terapia chee è in grado di risolvere i sintomi nel giro di pochissimi giorni. Il paziente, spesso estremamente sofferente, diventa completamente asintomatico in brevissimo tempo. Tipicamente gli indici di flogosi, in particolare la PCR, proteina che aumenta nella infiammazione, torna nei valori normali dopo circa una settimana.
v Il farmaco di prima scelta in questa malattia è pertanto il cortisone che va dato inizialmente a dosi medio alte e diminuito gradatamente nel tempo. Va tenuto presente che, anche se i sintomi scompaiono velocemente, la terapia steroidea deve essere mantenuta a lungo a basse dosi, Se questa viene sospesa troppo precocemente vi è un alto rischio che la malattia recidivi. La terapia va proseguita mediamente per 1-2 anni. Più specificatamente:
- la dose di prednisone iniziale è di 1 mg/Kg/die; tale dosa va mantenuta per un mese e poi scalata gradualmente. Durante la riduzione non va utilizzata terapia a giorni alterni. A tre mesi la dose dovrebbe essere tra i 10 e 15 mg die. Tale dose va poi ridotta molto più lentamente. E' possibile che, in una percentuale bassa di pazienti, non sia possibile sospendere il cortisone per la ricorrenza di malattia. In questi casi i possono essere valutati altri trattamenti, in particolare Methotrexate e i farmaci biologici (anti TNF alfa e anti IL6). I dati a sostengo di questi trattamenti peraltro sono allo stato attuale delle conoscenza scarsi, in particolare per quanto riguarda l'utilizzo dei biotecnologici.
La perdita di vista completa è di solito irreversibile; alte dosi di cortisone (1 grammo endovena per tre giorni) potrebbero essere di beneficio in alcuni pazienti, all'esordio dei sintomi oculari.
I pazienti con arterite di Horton hanno un maggior rischio di sviluppare accidenti cardiovascolari e cerebrali. L'addizione alla terapia di aspirina (75-100 mg die) potrebbe essere di aiuto nella prevenzione di questi eventi. L'introduzione di tale farmaco, con gastroprotezione, potrebbe essere raccomandata valutando la terapia sul singolo paziente.
Infine, considerata la cronicità della terapia steroidea, va sempre introdotta una protezione dell'osso con calcio, vitamina D ed eventualmente farmaci anti-riassorbitivi.
Punti pratici da ricordare per il sospetto clinico di arterite di Horton in pazienti di età superiore ai 50 anni.
- improvvisa insorgenza di cefalea, specie in regione temporale con dolorabilità della regione temporale o del cuoio capelluto
- disturbi della vista, compresa visione doppia (diplopia), o perdita transitoria del visus
- claudicatio (crampi dolorosi) alla lingua e mandibola alla masticazione
- ingrossamento doloroso, assenza di pulsazione, della arteria temporale
- claudicatio (dolore al movimento) degli arti superiori o inferiori in presenza di VES e PCR elevati e-o di soffi vascolari patologici.