Terapie personalizzate per il tumore al polmone

Terapie personalizzate per il tumore al polmone

BY: ONCOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 11/04/2023 15:04

L’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano è capofila del progetto internazionale di ricerca I3LUNG finanziato con 10 milioni di euro dall’Unione Europea
L’immunoterapia rappresenta, insieme alle terapie mirate (target therapy) con farmaci a bersaglio molecolare, la più grande rivoluzione in campo oncologico degli ultimi anni: si tratta di una nuova strategia di trattamento che mira a stimolare il sistema immunitario del soggetto affetto da tumore in modo che attacchi ed elimini le cellule cancerose. Il vantaggio in termini di efficacia di questi due approcci terapeutici si è reso evidente, in particolare, nel caso del tumore del polmone, terzo nella classifica delle neoplasie più diagnosticate - 40mila circa all’anno nel nostro Paese, secondo i dati 2020 - e prima causa di morte per cancro nei paesi industrializzati.

Nonostante gli enormi progressi, c’è ancora da fare qualche passo importante, soprattutto per il carcinoma polmonare non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC) la tipologia di tumore polmonare più diffusa. La possibilità di somministrare le nuove terapie è infatti subordinata a una precisa diagnosi molecolare. Nel caso delle target therapy, ciò significa che si indaga preventivamente su specifiche mutazioni/alterazioni a carico dei geni indicati EGFR, Alk e Ros-1 etc, solo se sono presenti tali alterazioni si possono usare i farmaci a bersaglio molecolare che interferiscono con l’attività delle proteine codificate dagli stessi geni mutati. Analogamente, l’immunoterapia è notevolmente efficace nei soggetti che esprimono alti livelli di uno specifico biomarcatore, la proteina PD-L1, che però per certi aspetti non risulta ancora del tutto soddisfacente.


"I risultati degli studi relativi all’immunoterapia nell’NSCLC hanno iniziato a emergere nel 2013 e nel 2015 sono arrivate le prime approvazioni da parte delle autorità regolatorie, prima per la seconda linea di trattamento e successivamente anche per la prima linea" - spiega Arsela Prelaj, medico oncologo e ricercatrice dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, che da molto tempo si occupa di questo tipo di neoplasie. "Nell’arco degli anni, si sono succedute molte ricerche, che hanno individuato diversi biomarcatori clinici, biochimici e biomolecolari di risposta all’immunoterapia, e tra questi è stato scelto il PD-L1, una proteina espressa nella superficie tumorale, con il quale ora si stratificano i pazienti e si sceglie il trattamento."

Il problema, come sottolineato dalla ricercatrice, è che questo biomarcatore, approvato perché il migliore tra quelli individuati, non è perfetto. "In Italia, l’approccio terapeutico attuale prevede che i soggetti con PD-L1 elevato possano accedere all’immunoterapia da sola, mentre per quelli con PD-L1 basso accedano all’immunoterapia associata a chemioterapia" - prosegue Prelaj. "Esiste tuttavia una percentuali di pazienti con livelli bassi che risponde bene ugualmente all’immunoterapia da sola, come si è osservato quando ancora l’immunoterapia veniva data a tappeto."

Da qui l’idea di Prelaj che si possa arrivare a una migliore profilazione molecolare del paziente non con uno, ma con più biomarcatori, da individuare analizzando i dati clinici, in parte già disponibili e in parte ancora da raccogliere, anche con l’uso dell’intelligenza artificiale, molto più efficiente dei metodi convenzionali nell’individuare correlazioni e informazioni salienti, magari sfuggite finora all’attenzione dei ricercatori.

È così che è nato il progetto di ricerca I3LUNG1,2, di cui Prelaj è coordinatrice, che vede la partecipazione di 16 partner internazionali ed è stato finanziato con 10 milioni di euro nell’ambito di Horizon Europe, il Programma quadro dell'Unione europea per la ricerca e l'innovazione per il periodo 2021-2027.

"Il disegno dello studio prevede sia la raccolta di dati retrospettivi degli ultimi 10 anni, relativi a circa 2000 pazienti, sia la definizione di una coorte prospettica con circa 200 pazienti, afferenti a sei centri clinici che vengono profilati sotto tutti gli aspetti: marcatori sanguigni, microbiota intestinale, sistema immunitario, trascrittoma e genoma", - continua Prelaj. "Attualmente, abbiamo sviluppato la prima versione della piattaforma informatica entro la quale verranno depositati i dati retrospettivi, prevedibilmente entro maggio, poi si passerà ai prospettici."

L’obiettivo è di riuscire a sviluppare, con tutti questi dati omici e di real world, algoritmi decisionali che consentano una reale personalizzazione delle cure oncologiche per l’NSCLC. Nello stesso progetto è previsto anche il un coinvolgimento del paziente stesso nelle scelte terapeutiche.

"Chiamiamo questi strumenti tool co-decisionali" - ha concluso Prelaj. "Essi permettono di considerare le preferenze delle persone che alla fine dovranno subire i trattamenti, personalizzando al massimo le scelte terapeutiche, considerando anche i rischi di eventi avversi di cui questi trattamenti non sono privi, facilitando così l’implementazione di questi strumenti nella pratica clinica."
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