Sicurezza del trattamento domiciliare dei pazienti con COVID-19: il ruolo delle USCA
BY: 13.02.2023 Popular Science
Quasi l’81% dei pazienti con COVID-19 presenta una malattia lieve, caratterizzata da una saturazione di ossigeno ?90%, tale da non richiedere il ricovero ospedaliero e beneficiare invece dell’integrazione e del monitoraggio dell’ossigeno a domicilio. Per ridurre il sovraccarico in ospedale durante la pandemia di COVID-19, sono state create in Italia le cosiddette “COVID Committed Home Medical Teams” (CCHT) ovvero team medici domiciliari impegnati in area COVID, denominati a livello nazionale “Unità Speciali di Continuità Assistenziale” (USCA)1.
Queste unità sono costituite da un piccolo pool di medici di medicina generale, con l’obiettivo di valutare tutti i pazienti con COVID-19 che richiedono una visita medica direttamente a casa. Dopo la prima visita, che può concludersi con il ricovero del paziente o la gestione domiciliare, i team delle USCA monitorano periodicamente le condizioni cliniche e i segni vitali del paziente con una rivalutazione ogni 24-48 ore, salvo un improvviso peggioramento. Una strategia interessante per ridurre la pressione sulle strutture ospedaliere, già oberate da molteplici problemi, che non è mai stata tuttavia valutata dal punto di vista della sicurezza del paziente.
Vantaggi della gestione medica domiciliare dei pazienti COVID-19
In un recente studio osservazionale retrospettivo sono stati raccolti dati in modo prospettico e sistematico su tutti i pazienti con SARS-CoV-2 ricoverati e guariti all’ospedale di Pordenone, in Italia, dal 21 settembre 2020 al 30 aprile 2021, con l’obiettivo principale di verificare se l’incidenza di mortalità intraospedaliera a 30 giorni nei pazienti con COVID-19 indirizzati al Pronto Soccorso dalla USCA e successivamente ricoverati fosse differente dai pazienti COVID-19 non valutati dalla USCA.
Lo studio mette in evidenza come la gestione della USCA dei pazienti COVID-19 sintomatici – ma non gravi –sia piuttosto sicura, con un numero notevolmente limitato (circa 10%) di pazienti indirizzati in ospedale. Un approccio che consente di risparmiare risorse ospedaliere da riservare a un numero ristretto di pazienti, che possono essere identificati in modo certo attraverso una valutazione medica non specialistica, con il vantaggio di limitare il tasso di mortalità (per lo meno indiretto) da COVID-19. La capacità di gestire, ovvero di rilevare, monitorare e selezionare i pazienti con COVID-19 a maggior rischio a casa, ha in questo senso un duplice valore:
abbassare la pressione sulle strutture ospedaliere, evitandone il collasso nei periodi pandemici di maggior picco;
consentire una riduzione della diffusione della malattia limitando i contatti interpersonali in ambienti sovraffollati, tanto che solo una piccola percentuale di pazienti con COVID-19 possa richiedere il ricovero.
La correlazione tra SpO2 e mortalità a breve termine da COVID-19
Già in passato erano state condotte esperienze simili di gestione domiciliare dei pazienti con COVID-19 attraverso la telemedicina, al fine di ridurre il numero di accessi ai reparti di emergenza ospedaliera. L’obiettivo di tali indagini, però, era quello di accorciare la durata della degenza ospedaliera attraverso il monitoraggio post-dimissione, a differenza di questo studio italiano che si distingue per la gestione dei pazienti a domicilio prima ancora di inviarli in Pronto Soccorso, consentendo il triage attraverso il monitoraggio della progressione e della gravità della malattia.
I risultati, in linea con i dati presenti in letteratura, mostrano come la saturazione arteriosa di ossigeno (SpO2) sia un parametro direttamente correlato alla mortalità a breve termine in questi pazienti. Come suggerito da altri studi, l’automonitoraggio domiciliare diffuso della SpO2 (a riposo e dopo il test del cammino) nel paziente con COVID-19 non grave potrebbe rivelarsi cruciale, riservando altri test quali emocromo, CRP, D-Dimero, radiografia del torace o TC a uno stadio di malattia più grave.
In particolare, lo studio italiano indica come i pazienti con insufficienza renale cronica (CKD) rappresentino una sottopopolazione particolarmente a rischio di decesso. Infatti, nonostante il presunto ruolo protettivo di questa patologia relativamente alla mortalità intraospedaliera, la CKD risulta invece essere un fattore prognostico negativo nella mortalità a breve termine (30 giorni). Un dato confermato anche dai dati presenti in letteratura secondo cui tali pazienti costituiscono una popolazione particolarmente fragile, tanto che la mortalità a 30 giorni potrebbe essere associata alle condizioni di base piuttosto che all’insufficienza respiratoria causata da COVID-19.
Se tali pazienti debbano essere indirizzati precocemente alle cure ospedaliere o essere gestiti a domicilio sarà l’obiettivo di future indagini mirate. Ma nulla toglie che, complessivamente, questi pazienti possano essere stati adeguatamente gestiti, almeno nelle fasi iniziali, anche a domicilio tenendo in considerazione i dati della mortalità intraospedaliera.
In conclusione, la gestione domiciliare dei pazienti con COVID-19 da parte delle USCA rappresenta una strategia valida in grado di ridurre il numero di ricoveri ospedalieri, con il vantaggio di un ampio margine di sicurezza che non ha impatto sulla mortalità intraospedaliera di questi pazienti.
Bibliografia
Venturini S, Orso D, Cugini F, Martin F, Boccato C, De Santi L, Pontoni E, Tomasella S, Nicotra F, Grembiale A, Tonizzo M, Grazioli S, Fossati S, Callegari A, Del Fabro G, Crapis M. Home management of COVID-19 symptomatic patients: a safety study on COVID committed home medical teams. Infez Med. 2022 Sep 1;30(3):412-417. doi: 10.53854/liim-3003-9. PMID: 36148166; PMCID: PMC9448320. (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC9448320/)