Covid: studio italiano, l'obesità aumenta la probabilità di malattia grave

Covid: studio italiano, l'obesità aumenta la probabilità di malattia grave

BY: INFETTIVOLOGIA | REDAZIONE DOTTNET | 01/09/2022 13:31

In coloro che presentano un’elevata percentuale di grasso viscerale aumentano sia la probabilità di contrarre il Covid 19 sia l’evoluzione della malattia in forma grave o fatale
Nelle persone con obesità, e in particolare in coloro che presentano un’elevata percentuale di grasso viscerale, aumentano sia la probabilità di contrarre il Covid 19 sia l’evoluzione della malattia in forma grave o fatale. Queste le conclusioni di due lavori, in via di pubblicazione su importanti riviste internazionali, cui ha contribuito l’Unità operativa di Geriatria dell’Ospedale di Treviso.

Il primo lavoro è una revisione della letteratura pubblicato sulla rivista Nutrients, dal titolo “The role of obesity, body composition and nutrition in Covid-19 pandemia”, opera del dr Andrea Rossi, direttore della Geriatria del Ca’ Foncello, in collaborazione con il prof Pellegrini e il prof El Ghoch dell’Università di Reggio Emilia e con tre ricercatrici dell’Università di Verona, Valentina Muollo, Gloria Mazzali e Silvia Urbani.

“L'obesità – spiega il dr Rossi - porta le persone che contraggono infezione da Covid-19 a essere più vulnerabili, sviluppando esiti peggiori che possono richiedere il ricovero in terapia intensiva. Questa revisione della letteratura si è concentrata sui risultati disponibili che hanno studiato il legame tra Covid-19, composizione corporea e stato nutrizionale. Altri componenti importanti come la bassa massa muscolare, la cosiddetta sarcopenia, e il grasso intermuscolare, aumentano la vulnerabilità nel contrarre il Covid-19, così come la mortalità, l'infiammazione e il danno a carico del muscolo. La malnutrizione è condizione prevalente nella popolazione affetta da Covid-19 grave – aggiunge il primario - ma permangono diverse questioni ancora da chiarire sulle strategie volte a ottimizzare lo stato nutrizionale per limitare il catabolismo e preservare la massa muscolare.

Infine, con l'aumento dei pazienti che si stanno riprendendo da Covid-19, la valutazione e il trattamento in quelli con sindrome da long-Covid possono diventare altamente rilevanti. È in corso una collaborazione con la dr.ssa Micaela Romagnoli, direttrice del Reparto di Pneumologia del Ca’ Foncello, proprio sullo studio degli aspetti nutrizionali del long-Covid.

Il secondo lavoro “Epicardial adipose tissue volume and CT-attenuation as prognostic factors for pulmonary embolism and mortality in critically ill patients affected by Covid-19”, scritto dal dr Rossi utilizzando i dati del prof Leonardo Gottin e della prof.ssa Katia Donadello, ricercatori dell’Anestesia e Rianimazione dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Padova, diretta dal Prof Polati, ha dimostrato che non solo la quantità di grasso corporeo, ma anche la sua distribuzione sembra svolgere un ruolo cruciale nella gravità del Covid-19.

Rispetto all'indice di massa corporea (BMI), il tessuto adiposo viscerale ed il grasso intratoracico sono risultati infatti migliori predittori della gravità di Covid-19, aumentando la necessità di ricovero in terapia intensiva e ventilazione meccanica invasiva.

“In questo lavoro - spiega il dr Rossi - in una popolazione di 156 soggetti ricoverati presso la Terapia Intensiva di Verona durante la prima e seconda ondata di Covid-19, è stato rilevato che avere un’elevata quantità di grasso attorno al cuore, valutato mediante Tac, determina un rischio aumentato di tre volte di decesso nei primi 28 giorni di ricovero. Abbiamo inoltre osservato che il grasso epicardico, misurabile anche con una semplice ecografia, si associa ad un maggiore rischio di embolia polmonare in pazienti ricoverati in rianimazione con forme di Covid severo”.
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