L'angolo della lettura
20/12/2025 - Il dileggio oltre la morte e la persistente malvagità dell’uomo
Robert Norman Reiner, detto Rob, nacque a New York, nel Bronx, il 6 marzo 1947. Regista, attore e instancabile attivista per i diritti civili, fu figura di primo piano nel panorama culturale e politico statunitense, distinguendosi per il suo costante impegno critico nei confronti delle politiche perseguite dalla Casa Bianca negli ultimi anni.
Il suo corpo e
quello della moglie, Michelle Singer, sessantottenne, furono rinvenuti dalla
figlia Romy nella loro residenza di Los Angeles domenica 14 dicembre 2025.
Entrambi presentavano segni evidenti di morte violenta. Le autorità di polizia
ipotizzarono fin da subito il coinvolgimento del figlio Nick, trentaduenne, che
venne arrestato in qualità di sospettato formale per il duplice omicidio.
Dati storiografici
Convinto sostenitore
del Partito Democratico, Reiner aveva progressivamente concentrato la propria
attività pubblica sull’impegno politico, denunciando con toni espliciti e
diretti l’orientamento dell’amministrazione Trump. Riteneva un dovere morale,
per chiunque esercitasse un’influenza sull’opinione pubblica, esporsi senza
ambiguità, anche attraverso la partecipazione attiva alle manifestazioni di
piazza. Per Reiner, opporsi a quelle che definiva politiche liberticide non era
una scelta facoltativa, bensì una necessità imprescindibile per la tutela della
democrazia. A suo avviso, non solo la libertà di espressione, ma l’intero
impianto costituzionale degli Stati Uniti risultava minacciato.
La sua carriera
artistica fu straordinariamente feconda e coronata da ampio successo.
Considerato tra i protagonisti più amati di Hollywood, diresse attori del
calibro di Jack Nicholson e Morgan Freeman (Non è mai troppo tardi), Kathy
Bates e James Caan (Misery non deve morire), Billy Crystal e Meg Ryan (Harry,
ti presento Sally…), Tom Cruise e Demi Moore (Codice d’onore), Michael Douglas
e Diane Keaton (Mai così vicini), Bruce Willis e Michelle Pfeiffer (Storia di
noi due), Kevin Costner, Jennifer Aniston e Shirley MacLaine (Vizi di
famiglia). Nel 1999 gli fu dedicata una stella sulla Hollywood Walk of Fame,
riconoscimento emblematico della sua influenza culturale.
La reazione di Donald Trump
Alla notizia del
ritrovamento dei corpi, Donald Trump intervenne con un messaggio pubblicato
sulla piattaforma Truth Social. Nel post, dai toni apertamente derisori,
scrisse: «Ieri sera è successa una cosa molto triste a Hollywood. Rob Reiner,
un regista e attore comico tormentato e in difficoltà, un tempo molto
talentuoso, è morto insieme alla moglie Michelle, secondo quanto riferito a
causa della rabbia che ha suscitato negli altri con la sua grave, irriducibile
e incurabile malattia mentale nota come Trump Derangement Syndrome, talvolta
indicata con l’acronimo TDS». E aggiunse: «Reiner è morto per la rabbia
provocata dalla sua ossessione contro di me».
Non pago di tale
dileggio rivolto alla memoria dei defunti, Trump rincarò ulteriormente la dose:
«Era noto per aver fatto impazzire le persone con la sua ossessione rabbiosa
per il presidente Donald J. Trump, con la sua evidente paranoia, acuita quando
la mia amministrazione ha superato ogni obiettivo e aspettativa, aprendo forse
come mai prima d’ora un’età dell’oro per l’America. Che Rob e Michelle riposino
in pace».
La posizione di Robert Reiner
In vita, Reiner non
aveva risparmiato critiche severe al presidente Trump. In una delle sue
dichiarazioni più significative affermò: «Cerco di oppormi nel miglior modo
possibile, con i mezzi a mia disposizione, nella speranza di preservare la
democrazia. Si tratta di un esperimento che dura da duecentocinquant’anni e
che, pur tra esitazioni e contraddizioni, ha saputo migliorarsi. Ci fu un tempo
in cui le donne non potevano votare; oggi possono. Ci fu un tempo in cui i neri
non potevano votare; oggi possono. Abbiamo commesso errori enormi, persino
imperdonabili, ma siamo andati avanti. È la prima volta che vedo questa
costruzione fragile, questa democrazia effimera, rischiare di essere distrutta
in meno di un anno. Le istituzioni reggono solo se le persone credono nello
Stato di diritto e nella Costituzione. Se questa fede viene meno, allora tutto
diventa possibile».
Esempi nella storia
Gli esempi di
mancanza di compassione, nella storia dell’umanità, sono innumerevoli. Riletti
a distanza, suscitano sempre ribrezzo e orrore morale. Nei contesti di guerra o
nelle crisi umanitarie contemporanee, l’indifferenza verso la sofferenza umana
si manifesta come uno spettacolo quotidiano e tristemente ordinario: la
Palestina, le stragi in Africa, la guerra in Ucraina ne sono testimonianze
evidenti. Dissacrare o dileggiare la memoria del nemico sconfitto si rivela,
invariabilmente, un boomerang morale: una sconfitta etica per chi crede di aver
vinto. Nell’antichità, la profanazione dei corpi era pratica diffusa. Non
bastava uccidere il nemico: occorreva umiliarlo oltre la morte, negandogli
persino il rito funebre. Tra gli episodi più noti, sospesi tra leggenda e fonti
storiche, ricordiamo:
- - Marco Licinio Crasso (53 a.C.), sconfitto a
Carre dai Parti, sul cui cadavere fu simbolicamente versato oro fuso, a monito
della sua proverbiale avidità;
- - L’imperatore Galba (69 d.C.), assassinato
durante l’“anno dei quattro imperatori”, la cui testa venne staccata dal corpo
e oltraggiata dai soldati;
- - Achille ed Ettore (Iliade), con il corpo di
Ettore trascinato intorno alle mura di Troia prima della restituzione al padre
Priamo e alla famiglia;
- - Il Sinodo del Cadavere (897 d.C.), in cui papa
Formoso fu sottoposto a un processo post mortem, riesumato, mutilato e infine
gettato nel Tevere;
- - Oliver Cromwell (1661), riesumato dopo la
restaurazione monarchica, impiccato e decapitato, con la testa esposta per
decenni su una picca fuori da Westminster Hall;
- - Benito Mussolini (1945), il cui corpo fu esposto
a testa in giù al pubblico ludibrio in Piazzale Loreto insieme a quello di
Claretta Petacci;
- - Grigorij Rasputin (1916), eliminato con brutale
accanimento e gettato in un fiume ghiacciato dai congiurati.
Negare la sepoltura
equivaleva, in molte culture – non solo in quella greca – a negare la pace
dell’anima. Era la forma più estrema di disprezzo. La storia è costellata di
vincitori che continuano ad accanirsi sui vinti anche oltre la morte: il
dileggio post mortem rappresenta l’apice della disumanità.
E continuano ancora oggi
Anche oggi, di fronte alla sofferenza degli “altri” –
migranti, civili, vittime di guerra – emerge spesso una distanza emotiva che
assimila l’umanità sofferente a un nemico sconfitto, privato di dignità. Donald
Trump non è nuovo alla ridicolizzazione sistematica dei suoi avversari.
L’espressione «Trump Derangement Syndrome» è stata più volte da lui impiegata
come strumento di delegittimazione.
Nel caso della morte
di Reiner, egli giunge persino ad alludere a un nesso tra l’impegno politico e
la fine violenta. Ne emerge, in modo inequivocabile, una profonda assenza di
empatia, una mancanza di rispetto elementare per la dignità umana. La rozzezza
del personaggio si manifesta qui in tutta la sua negatività e nefandezza. È
difficile immaginare in lui una consapevolezza storica, una memoria delle
derive disumane che hanno attraversato i secoli. Il pensiero critico, la
lezione della storia – che oscilla incessantemente tra bene e male – sembrano
estranei alla sua visione: egli ha scelto, senza esitazioni, la via del
dileggio.