osservazioni medico oculistiche - Dolore orbitario di natura non bulbare

L'angolo della lettura

06/03/2024 - Dolore orbitario di natura non bulbare


Campanello d’allarme in una torre campanaria 
La definizione che la IASP, International Society for Study of Pain, dà del dolore è la seguente: “il dolore è una spiacevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a una lesione tissutale in atto o potenziale, o descritta nei termini di danno”. Cartesio, già quattro secoli fa, intuì la funzione del dolore come sistema di autodifesa; nei suoi scritti sul dolore espresse tutto il suo smarrimento e, nello stesso tempo, l’incertezza per la molteplicità delle sue cause, come emerge chiaramente dalla definizione che associa al dolore con smarrimento e ambascia: “campanello d’allarme in una torre campanaria”.  La IASP afferma inoltre che “il dolore è sempre soggettivo” e bisogna accettarlo anche in assenza di obbiettività organica e funzionale. Il termine inglese “pain”, più di altri idiomi, evidenzia, oltre lo stato fisico, quello psichico presente in chi vive quest’esperienza. Deriva dal latino “poena”, pena, punizione, condizione più complessa ed elaborata rispetto all’esperienza fisica e sensoriale del semplice dolore. Albert Schweitzer, medico alsaziano, teologo, musicista e missionario in Africa, premio Nobel per la pace nel 1952, a sottolineare la tragica condizione che tale disagio può assumere in chi lo subisce in modo devastante e/o permanente, afferma che “il dolore è un nefando signore dell’umanità, più temibile della morte stessa”.

La testa batte… il piede duole 
Per capire appieno l’importanza del dolore cefalico e orbitario in particolare, tra i più importanti e meno tollerati dall’uomo, è necessario introdurre il concetto di “intrusione” del dolore, che David Balan nel 1968 rendeva comprensibile associandolo alla “distalità”, divario fenomenico tra un “evento”, e il “se” che lo percepisce. Una percezione dolorosa recepita “dentro di noi” può variare per grado di “intrusione”, per la diversa “distalità fenomenica” della sua gravità soggettivamente avvertita. Infatti, è esperienza comune che un dolore a un piede è vissuto come meno grave di un dolore cefalico. Il dolore nocicettivo è il processo in base al quale uno stimolo lesivo è percepito a livello periferico dai nocicettori, terminazioni nervose periferiche, trasmesso al sistema nervoso centrale, e quindi inquadrato in termini di localizzazione ed intensità, potenziato o inibito e, infine, memorizzato. Spesso è fisiologico, di difesa e allarme, mentre il dolore neuropatico o psicogeno è legato a un’alterazione anatomo-funzionale del sistema nervoso centrale e/o periferico. Il dolore della regione orbitaria di solito è neuropatico, con associazione di elementi psicogeni ed emotivi. Il dolore orbitario, non originato dal bulbo oculare, tanto frequente nei nostri pazienti, a volte è sottovalutato nelle reali correlazioni cliniche e psicologiche. Distinguere il dolore del territorio orbitario di origine oculare da quello di origine non bulbare, ma che si irradia nella stessa regione, è diagnosi difficile, necessaria, obbligatoriamente dovuta.
Il cancello del dolore e il teatro anatomico di Padova
Il trigemino è il quinto e più voluminoso dei dodici nervi cranici, principalmente sensoriale e in minima parte motorio. Sovraintende alla sensibilità del territorio del viso, dell’orbita e del bulbo oculare in particolare. La sua origine reale si trova nei nuclei centrali bulbo-ponto-mesencefalici, nel sistema nervoso centrale, mentre l’emergenza anatomica è nella parte ventrale del ponte dell’encefalo dove si espande, dopo breve percorso autonomo di circa 2 cm, nel grande ganglio semilunare del Gasser. Il ganglio di Gasser, detto anche semilunare del Gasser (dal greco ganglion, ghiandola) è un ganglio del nervo trigemino che porta il nome del suo scopritore Johann Lorenz Gasser, anatomico viennese (1723-1765). Ha la grandezza di un fagiolo, ed è alloggiato e protetto da uno sdoppiamento della dura madre, la parte più esterna e più spessa delle tre meningi, membrane che avvolgono l'encefalo e il midollo spinale). Il vero scopritore del ganglio trigeminale fu Giulio Cesare Casseri o Casserio, circa duecento anni prima. Giulio Cesare Casseri, nato a Piacenza nel 1552 e morto a Padova nel 1616, è stato un grande anatomista italiano. Raggiunse buona fama e buoni guadagni anche come chirurgo, e con anatomici del calibro del Fabrici d’Acquapendente, Vesalio, Falloppio e del Corti, contribuì alla fama europea della città di Padova come tempio della medicina moderna. In questa città fu istituita la prima sala settoria per lo studio sistematico dell’anatomia, il teatro anatomico al Palazzo Bo, voluto da Girolamo Fabrici d'Acquapendente, maestro del Casserio, nel 1594, ancora perfettamente conservato: è il più antico teatro anatomico stabile al mondo.

Il nervo del dolore impossibile 
Il trigemino in realtà è composto di tre nervi e i suoi fasci destinati alle tre branche continuano a restare distinti anche all’interno del ganglio gasseriano. Gli stretti rapporti anatomici del ganglio del Gasser, immerso nel liquor cefalorachidiano, con il seno petroso, il seno cavernoso, la carotide interna e le meningi, lo rendono facilmente influenzabile da queste strutture. Un aumento di tensione liquorale, delle meningi o della falce del cervelletto, alla quale il nervo oftalmico del trigemino dà terminazioni nervose può, infatti, essere avvertita come dolore retro-bulbare. Il conflitto vascolare esistente con alcune arterie come la cerebellare superiore o anomalie dell’arteria basilare sono riconosciute tra le cause principali della nevralgia trigeminale. I tre rami terminali, la branca oftalmica V1, la mascellare V2, entrambe esclusivamente sensitive, e la mandibolare V3 mista, con fibre motorie per la masticazione, possono essere causa di dolore nel territorio corrispondente. Il nervo oftalmico V1, branca minore del trigemino, è responsabile di gran parte delle algie orbitarie. L’importanza del trigemino risiede proprio nel territorio cui sovraintende. Il cranio, per la complessità degli organi di senso che accoglie, riveste funzioni vitali per la sopravvivenza dell’uomo. Per questi motivi filogenetici l’impalcatura nervosa sensoriale è molto estesa e completa; il trigemino assolve pienamente queste importanti funzioni sovraintendendo come un attento guardiano al territorio cefalico. 

Dolore alla testa… e la teoria del Gate Control 
La nevralgia trigeminale è una delle algie (dal gr. ἄλγος "dolore"; fr. algie; sp. algia; ted. algie; ingl. pain) nervose più importanti e dolorose cui l’uomo può essere sottoposto. La comprensione fisiopatologica del dolore ha avuto una clamorosa svolta con la scoperta della teoria del cancello, Gate Control Theory. Questa teoria ci fornisce un modello esplicativo delle modalità di attivazione molecolare dei recettori cellulari, con particolare riferimento ai processi nocicettivi (dolore) per la percezione e trasmissione del dolore. Formulata nel 1962 da Ronald Melzack e Patrick Wall, costituisce uno dei più rilevanti passi avanti nei meccanismi molecolari alla base della nocicezione. “Pain Mechanisms: A New Theory", pubblicazione di questi due scienziati apparsa nel 1965 su Science (Science: 150, 171 179, 1965), è stata definita come "The most influential ever written in the field of pain". Il dolore, captato a livello periferico dai nocicettori, è trasmesso per mezzo fibre nervose Aδ (A-delta) mielinizzate a trasmissione veloce e C demielinizzate a trasmissione lenta. La classificazione di Erlanger e Gasser (1937) si basa infatti su queste caratteristiche. Divide le fibre nervose in tre gruppi A, B e C, per la velocità di conduzione, la presenza di rivestimento mielinico e per il loro diametro.

Duecento mal di testa
 L’IHS, International Headache Society, Società Internazionale delle cefalee, organizzazione mondiale leader per lo studio e la prevenzione del dolore cefalico, ha redatto la classificazione internazionale delle cefalee, International Classification Of Headache Disorders, che include oltre duecento tra cefalee e algie craniche, raggruppate in gruppi gerarchici. Ogni lavoro scientifico riguardante le cefalee e le algie craniche, per essere accettato e pubblicato, deve far riferimento a questa classificazione internazionale. Divide le cefalee e algie craniche in tre grandi gruppi: cefalee primarie, cefalee secondarie e nevralgie craniche, dolori facciali centrali e altre cefalee. Questi tre gruppi, a loro volta, comprendono sottogruppi, con numerose entità autonome, clinicamente individuate e circoscritte. In questo mare magno, nel quale è difficile districarsi, trovare un orientamento sicuro non è certo compito dell’oftalmologo. L’oculista però è spesso chiamato a intervenire in prima battuta in molte di queste multiformi e angoscianti patologie; avere un orientamento di base è più che necessario. La regione orbitaria e il bulbo sono, infatti, coinvolti direttamente o indirettamente nelle maggior parte delle algie craniche. 

Un po’ di chiarezza… ma non troppo
Il gruppo delle cefalee primarie, secondo questa classificazione, comprende quattro sottogruppi: emicrania, cefalea di tipo tensivo, cefalea a grappolo, cefalalgie autonomistico trigeminali e altre cefalee primarie. Il capitolo delle emicranie a sua volta prevede: 1) Emicrania senza aura; 2) Emicrania con aura; 3) Sindromi periodiche dell’infanzia possibili precursori comuni dell’emicrania; 4) Emicrania retinica; 5) Complicanze dell’emicrania ; 6) Probabile emicrania.
Il GBD, Global Burden of Disease Stady, con il contributo di centinaia di esperti da tutto il mondo, tra cui i ricercatori dell’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, pone le emicranie, tra le 291 cause di morte e d’invalidità censite, al 19° posto nel Report del 2001. Per l’OMS una disabilità, disability, è” una qualsiasi limitazione o perdita della capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano”, distinguendola dalla menomazione e dall’handicap, maggiormente inficianti le capacità personali e lavorative del soggetto. In Italia, come in Europa in genere, l’emicrania ha una frequenza del 12% circa, diminuendo drasticamente al 2% nel continente africano e a Hong-Kong. 

Un’aura e 60 minuti di dolore
L’emicrania con aura, conosciuta anche come emicrania oftalmica, classica, emiparestesica, emiplegica, afasica, come emicrania accompagnata o complicata, è la forma con la quale l’oculista si confronta più frequentemente. L’emicrania con aura è un disturbo ricorrente, costituisce il 20% delle emicranie; l’altro 80% è rappresentato dalle forme senza aura, con una frequenza tra donne e uomini di 2-3,5 e 1, tra i 20 e i 60 anni d’età. È un disordine caratterizzato da attacchi periodici con sintomi neurologici focali reversibili, che si manifestano gradualmente in 5-20 minuti e terminano in 60 minuti circa, con una certa predisposizione ereditaria (autosomica dominante a penetranza incompleta). La cefalea, con le caratteristiche dell’attacco emicranico, segue quasi sempre i sintomi dell’aura. Nel 15% dei casi la cefalea può essere assente, equivalente emicranico, o avere caratteristiche differenti dall’emicrania classica. 

Il dolore ritmato
L’emicrania con aura si manifesta temporalmente in quattro fasi: sintomi premonitori, aura, emicrania, sintomi residui e la risoluzione dell’evento con un periodo di normalità sintomatologica. 
- I sintomi premonitori, sono molto vaghi: fame, sbadigli, aumento delle percezioni sensoriali, ritenzione idrica. Di solito sono turbamenti dell’umore mal definiti e raramente riferiti dai pazienti, se non richiesto con insistenza nell’anamnesi.
- L’aura si manifesta con sintomi transitori che precedono o più raramente accompagnano la fase algica. Può avere caratteristiche visive (90%), sensitive (57%), più raramente afasiche (20%) o motorie (6%). I fenomeni visivi dell’aura possono essere positivi, come la comparsa di luci bianche o colorate, lampi, linee ondulate e/o tremolanti, noti come scotomi scintillanti, spettri di fortificazione o teicopsie, oppure essere negativi, macchie scure o perdita parziale o totale del visus, che preoccupano maggiormente il paziente. I fenomeni sensitivi dell’aura possono essere anch’essi positivi, parestesie come punture di spillo, formicolii, o negativi, fenomeni ipoestesici; sono unilaterali, a lenta progressione, la cosiddetta “marcia dell’aura sensitiva”. I fenomeni afasici dell’aura, più rari, si associano ai fenomeni sensitivi che coinvolgono il viso, e interessano l’espressione verbale, con frequente “amnesia nominum”. Infine, i fenomeni motori si presentano con ipostenia ad un arto e/o un’emiparesi di breve durata, sempre unilaterali, associati comunemente a fenomeni visivi o sensitivi. L’emicrania, che esordisce di solito dopo l’aura, può comparire anche senza alcun sintomo, aumenta nel tempo, raggiungendo la massima intensità in 30-120 minuti; raro un suo esordio notturno, nel sonno.
- All’emicrania possono associarsi nausea, vomito, fonofobia e fotofobia di varia intensità; le luci, i rumori, i minimi urti o i movimenti esacerbano il dolore, costringendo i malati a rimanere immobili al buio, lontano da fonti sonore. 
- Seguono i sintomi residui, spossatezza, astenia, modificazione dell’umore e dell’appetito, con intensità differente da soggetto a soggetto.
La frequenza degli attacchi varia da uno alla settimana nel 15% dei casi a uno al mese nel 30% dei casi. La diagnosi differenziale deve essere fatta con la cefalea di tipo tensivo, la più diffusa delle cefalee primarie; distinguerle risulta spesso difficile perché possono essere associate tra loro.

Emicrania retinica
L’emicrania retinica, presente nella classificazione come entità autonoma nel gruppo delle emicranie, è caratterizzata da attacchi ripetuti, almeno due, con disturbi visivi monoculari consistenti in fosfeni, scotomi o amaurosi totale che, a differenza dell’emicrania con aura, sono strettamente monoculari, in associazione a cefalea con carattere emicranico. I disturbi oculari, reversibili, dovrebbero essere confermati da un esaminatore durante l’attacco o almeno da disegni eseguiti dall’interessato, adeguatamente istruito. Queste restrizioni cliniche esprimono la difficoltà nella diagnosi di certezza di questa particolare e rara affezione, (46 casi certi descritti al mondo e quasi nessuna bibliografia). Il quadro retinico, al di fuori dell’attacco, è assolutamente normale; durante la fase acuta, al contrario, è presente un vasospasmo diffuso del letto arteriolare retinico, unico reperto di certezza diagnostica. Gli attacchi sono, com’è stato detto, monoculari e reversibili, di durata maggiore di 30 e minore di 60 minuti, con dolore intenso gravativo retro-oculare. Nel 50% dei casi è stata descritta in letteratura perdita finale del visus, anche se l’affezione, resta reversibile e transitoria. Deve essere distinta dall’amaurosi fugax, con la quale facilmente si confonde, che ha come possibile e temibile causa una dissezione o una serrata stenosi delle arterie carotidee. La sua eziologia resta tuttora largamente incerta.

Cefalea a grappolo
Nota in letteratura anglosassone come Cluster Headache, termine coniato nel 1952 da Charles Kunkle, a noi oculisti interessa perché la sintomatologia coinvolge sempre il territorio oftalmico. Conosciuta anche come cefalea del suicidio, (termine utilizzato anche per la nevralgia trigeminale), cefalalgia istaminica, nevralgia ciliare, eritromelalgia del capo o cefalea di Horton, è stata descritta, inizialmente, secondo varie fonti, dal neurologo inglese Wilfred Harris (1869-1960) come nevralgia migrante o, più probabilmente, da Thomas Willis (1621 - 1675), pioniere nella ricerca della vascolarizzazione del cervello (Poligono del Willis), che ne dette notizia nel 1672, individuandola in una donna che ne soffriva da più giorni, alla stessa ora, ore 16, e perciò da lui denominata “cefalea ad orologeria”. È caratterizzata da dolore nel territorio orbitario o periorbitario, unilateralmente, con possibile cambiamento del lato coinvolto tra un attacco e l’altro nel 15% dei casi. L’irradiazione può avvenire più frequentemente verso la fronte e la tempia, sindrome superiore, o lo zigomo, l’arcata dentaria e il mento, sindrome inferiore, più rara. La cefalea a grappolo è la forma meno frequente tra le cefalee primarie. Nella popolazione la cefalea a grappolo ha una prevalenza di 1 caso su 1000, un rapporto tra i sessi invertito rispetto all’emicrania, 6 : 1 a favore dei maschi, divario che sta restringendosi nel tempo (4,3 : 1 nel 2008), un esordio tra i 20 e i 40 anni, senza familiarità certa (forse autosomica dominante). A una fase attiva degli attacchi, “grappolo” o “cluster”, di due settimane fino a tre mesi, segue una fase inattiva, di remissione, di 6/12 mesi, con paziente completamente asintomatico. La crisi compare all’improvviso, senza prodromi, con massima intensità in 5-10 minuti, dolore fortissimo, trafittivo, lancinante, insopportabile, stato d’agitazione del paziente, durata complessiva tra 15 e 180 minuti, una frequenza di 1-3 crisi al giorno, con disturbi neurovegetativi omolaterali al dolore. I sintomi e segni neurovegetativi per 85% sono oculari, con iperemia congiuntivale, lacrimazione, miosi e ptosi palpebrale, per il 70% sono nasali, con ostruzione dei meati e rinorrea. A questo quadro clinico si aggiunge sudorazione nella sede del dolore, flushing facciale con cute dell’emivolto arrossata, calda e umida, nausea, fotofobia, fonofobia, tachicardia all’inizio della crisi seguita da bradicardia e aumento della pressione arteriosa sistemica all’acme della crisi. Fattori scatenanti favorenti sono l’alcool, il fumo di sigaretta, l’istamina di origine alimentare che, se non prontamente inattivata, per un eventuale deficit dell’enzima diaminoossidasi, può scatenare un attacco di cefalea in occasione dell’assunzione di cibo, come alcuni tipi di pesce. Si è notato che oltre il 50% dei fumatori con cefalea a grappolo fuma più di 20 sigarette al giorno, correlazione ancora poco chiara. Per quel che riguarda le forme cliniche, infine, la cefalea a grappolo può presentarsi in forma cronica, più rara, o in forma episodica (80%), se il periodo di remissione è superiore a un mese. 


Il colpo di pugnale
È una patologia dolorosa cronica con attacchi improvvisi, sempre unilaterali, nella zona d’irradiazione dei nervi interessati dall’evento patologico. La nevralgia del trigemino è la più comune tra le nevralgie craniche, coinvolgendo 3-5 persone su 100.000 abitanti; il 90% delle nevralgie facciali sono, infatti, trigeminali. Con prevalenza di 2 : 1 tra femmine e maschi, nel 75% ha un esordio dopo i 50 anni; un inizio giovanile impone il sospetto diagnostico di una forma sintomatica, secondaria, molto più rara e temibile; nel 2/4% di casi si può trattare di una Sclerosi Multipla. La forma idiopatica o essenziale ha sempre un esame neurologico negativo. La sintomatologia della nevralgia trigeminale si manifesta con dolore intenso, parossistico, ad accessi, con carattere lancinante, a” scossa elettrica”, a colpo di pugnale, di tipo urente, che inizia e termina in modo brusco. Le crisi sono brevi, di pochi secondi, meno di 2 minuti, con una frequenza di 5/10 al giorno, subentranti nelle forme gravi, con scariche a salve. Il dolore, spesso stereotipato nel singolo paziente, può essere innescato da stimoli banali, come il lavarsi il viso o i denti, radersi la barba o fumare; rari, per non dire eccezionali, gli attacchi notturni. Il dolore insorge spontaneo e/o scatenato dalla pressione, anche leggera, su zone “trigger”, zone grilletto, in assenza di deficit neurologici; se bilaterale, 3/5% dei casi, bisogna sospettare una forma secondaria, sclerosi multipla in primis, come nelle forme ad esordio giovanile. Interessa il territorio d’innervazione del quinto nervo cranico, più frequentemente la II° e III° branca; la I° branca, interessata singolarmente solo nel 5% dei casi, è spesso coinvolta con le altre due, per cui un’estensione algica alla regione oftalmica è molto frequente. Fra un attacco e l’altro vi è assenza di dolore, perfetta sensibilità della faccia e della cornea; con il ripetersi degli eventi dolorosi può residuare un dolore sordo e subdolo, persistente. Durante la crisi dolorosa vi può essere contrattura della muscolatura facciale omolaterale, da cui il termine, ormai desueto, “Tic Douloureux” (André, 1756), dato inizialmente alla malattia. Nel corso della crisi il paziente resta immobile, interrompendo ogni sua attività, al contrario della cefalea a grappolo, dove prevale uno stato di agitazione. L’evoluzione è discontinua; solitamente si aggrava con sempre minori periodi di remissione tra una crisi e l’altra. La diagnosi differenziale deve essere fatta essenzialmente con la cefalea a grappolo, con cui non è difficile confonderla. La genesi della nevralgia trigeminale non è ancora pienamente chiarita; il conflitto vascolare è invocato da più parti come causa più probabile. L’arteria cerebellare superiore è la struttura vascolare che più frequentemente comprime la radice o il ganglio del Gasser, con lesione delle guaine mieliniche, come testimoniato dalle risonanze magnetiche, per anomalie di calibro e di percorso di quest’arteria. Anche alcune malformazioni del tronco dell’arteria basilare, (mega-dolico-ectasie arteriose intracraniche), potrebbero essere tra le possibili cause vascolari dell’affezione. Le decompressioni vascolari eseguite in corso di nevralgie trigeminali non trattabili, con interruzione della relativa sintomatologia dolorosa in percentuale del 95%, avvalorerebbero tali ipotesi. Del resto, la risposta positiva iniziale alla terapia farmacologica, che perde nel tempo efficacia, evidenzia una causa strutturale ancorché funzionale dell’affezione. Maggiormente poco efficace, già dall’inizio, è la risposta agli antinfiammatori come i fans nelle temibili forme secondarie o sintomatiche, tra cui, curiosamente, troviamo anche quelle dovute al piercing della lingua. Una volta accertata l’eziologia, si tratta di forme secondarie, che aumenteranno sempre più di numero, per il maggior utilizzo dell’imaging nella diagnostica. L’estremità cranica può essere interessata da altre forme nevralgiche, come quelle a partenza dal nervo glossofaringeo, dal laringeo superiore o nelle algie che sono dette “atipiche”.

Cefalee…un enigma  
Tracciare delle considerazioni finali in campo di dolore cranico significa dimenticare che ci troviamo di fronte ad un dramma che l’uomo ha dovuto affrontare, e dal quale ne è uscito spesso sconfitto, se non altro dal punto di vista psichico. Arthur Schopenhauer e Søren Kierkegaard, ritenuti universalmente i massimi filosofi del dolore, più di altri hanno incarnato nelle loro opere la tragicità del dolore umano. “Sei sono dolore e bisogno, e il settimo è noia” affermava Schopenhauer descrivendo l’essenzialità della settimana per la maggior parte del genere umano. Il dolore trigeminale e cranico in generale è, senza dubbio, il più temibile dei dolori che l’uomo possa subire durante la sua vita, e noi oftalmologi siamo spesso i primi testimoni delle manifestazioni d’esordio di queste dolorose affezioni. Il nostro compito è indicare, presto e bene, le migliori strade da intraprendere per allentare la morsa che questi pazienti sentono stringersi intorno alla loro triste esistenza. L’occhio, e la regione orbitaria più in generale, sono al centro di queste patologie, tante volte definite “del suicidio”. Nell’affrontare questi temi non sentiamoci spettatori estranei. La diagnosi e la terapia delle algie orbitarie non bulbari coinvolge da vicino noi oftalmologi ed esige positive risposte e proposte, nei limiti delle nostre competenze. Siamo medici prima di essere oculisti! L’affascinante e temibile mondo dell’encefalo un po’ ci appartiene; l’unica finestra naturale che ad esso si affaccia e si apre è l’organo verso il quale ogni nostro sforzo è proteso e dedicato: non chiudiamo definitivamente alla speranza di questi pazienti la finestra dell’oftalmologia, che può offrire nuovi scenari, possibili soluzioni e, a volte, proposte positivamente alternative.

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