osservazioni medico oculistiche - La grande sete di Teheran

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11/11/2025 - La grande sete di Teheran


   Nell’Amazzonia si apre la 30ª Conferenza ONU sul clima.

A dieci anni dall’Accordo di Parigi, che impegnava i Paesi firmatari a contenere il riscaldamento globale entro i due gradi, la COP (Conferenza delle Parti) — il più grande evento mondiale dedicato alle discussioni e ai negoziati sui cambiamenti climatici — si terrà dal 10 al 21 novembre in Brasile.

Quest’anno la COP30 ha come sede Belém, città dello Stato del Pará (nome portoghese di Betlemme), prima colonia europea in Amazzonia. Con una popolazione di circa 1,4 milioni di abitanti, è la seconda città più grande del Brasile settentrionale dopo Manaus. È nota anche come “Città dei manghi” (Cidade das Mangueiras in portoghese) per la grande quantità di questi alberi lungo le sue strade.

Suggestiva la scelta della località — Belém, la porta dell’Amazzonia — e significativo il fatto che l’evento si svolga a dieci anni dall’Accordo di Parigi, con il quale il mondo si impegnò a contenere l’aumento della temperatura globale entro i due gradi.

Il presidente brasiliano Lula l’ha ribattezzata “COP della verità”. Le premesse, tuttavia, non sono rassicuranti. Per il segretario generale dell’ONU, António Guterres, gli obiettivi fissati a Parigi sono ormai un lontano ricordo. Pessimista anche il premier britannico Keir Starmer. Da segnalare l’assenza di Donald Trump, che è uscito dall’Accordo di Parigi per la seconda volta.

L’Europa, per voce di Ursula von der Leyen, afferma laconicamente che “Faremo la nostra parte”. I ventisette Paesi dell’Unione europea, Italia compresa, si presentano con un piano clima che conferma l’obiettivo di ridurre del 90% le emissioni di gas serra entro il 2040, ma con una certa “flessibilità”.
Il vicepremier Antonio Tajani sottolinea: “La transizione energetica non può avere costi economici e sociali troppo alti. Si cerca il giusto compromesso.”

Lula, da parte sua, osserva che “La guerra in Ucraina ha vanificato anni di sforzi” e lancia la proposta di un fondo per la conservazione delle foreste tropicali, già sottoscritto da oltre 50 Paesi per un valore complessivo superiore ai 5 miliardi di dollari.

Nel frattempo, Teheran ha sete. Il presidente Masoud Pezeshkian valuta l’evacuazione della capitale a causa della siccità: se non pioverà entro l’anno, dieci milioni di abitanti rischiano di dover essere trasferiti. Molte città iraniane stanno affrontando la più grave crisi idrica degli ultimi dieci anni. Diciannove grandi dighe — circa il 10% delle riserve di acqua potabile del Paese — sono ormai a secco. Anche Mashhad, la seconda città iraniana, è colpita da una siccità severa.

Donald Trump continua a definire il cambiamento climatico una “bufala” (hoax), attribuendone la responsabilità alla Cina per danneggiare gli Stati Uniti e l’industria americana. Con spavalderia, è passato dal negazionismo più radicale all’indifferenza verso gli effetti climatici.
Altro grande assente è proprio la Cina: primo Paese per emissioni inquinanti, ma anche tra i più avanzati nella transizione energetica e nella produzione di veicoli elettrici. La sua assenza rende monco il summit di Belém.

Quando gli interessi economici diventeranno compatibili con la lotta all’inquinamento climatico? Speriamo non troppo tardi, quando il limite dell’irreversibile sarà già superato e i rimedi non saranno più sufficienti a invertire la rotta del nostro suicidio ambientale.

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