osservazioni medico oculistiche - Perduto l’onore, resisterà almeno l’orgoglio?

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05/08/2025 - Perduto l’onore, resisterà almeno l’orgoglio?


Turnberry, il Tempio profanato del Golf e la Capitale improvvisata della diplomazia atlantica

  L’Ayrshire, una delle 34 contee storiche della Scozia, si distende nella zona sud-occidentale del Paese, laddove la Gran Bretagna sfuma nell’oceano. Qui sorge il Turnberry Golf Club, oggi noto come Trump Turnberry: un lussuoso resort costiero, acquistato nel 2014 per 60 milioni di dollari da Donald Trump. Il toponimo Turnberry, di chiara origine anglosassone, significa letteralmente “la stalla lungo il torrente”. Fondato nel 1906 come The Westin Turnberry Resort, si affaccia sul Firth of Clyde, estuario del fiume omonimo che si getta nel Mare d’Irlanda. Il nome Clyde, avvolto da suggestive incertezze etimologiche, potrebbe derivare dalla dea celtica Clōta, "colei che scorre con forza", a sottolineare la potenza e la sacralità di queste terre.

  Il Turnberry ospita tre campi da golf: l'Ailsa, celebre a livello internazionale; il Kintyre, erede del campo Arran; e il più modesto Arran attuale, un 9 buche pensato per principianti. Con oltre un secolo di storia, la struttura si è guadagnata un posto d’onore nell’élite del golf mondiale, avendo ospitato per quattro volte il prestigioso Open Championship, il più antico dei quattro tornei Major.

  Tuttavia, dal 6 gennaio 2021, data dell’assalto al Campidoglio di Washington, Turnberry è stato espunto dal novero dei possibili campi sede dei Majors dalla R&A – già Royal and Ancient Golf Club di St Andrews – per preservare la neutralità del golf da qualsiasi ingerenza politica. Una decisione pesante, ma necessaria: la competizione sportiva più antica del mondo non può piegarsi a dinamiche di propaganda personale. È stato un colpo durissimo per la reputazione internazionale del resort e, in un certo senso, anche per la Scozia e l’Europa, che oggi si ritrovano spettatrici di una scenografia poco onorevole.

  Nel cuore del Turnberry, fra il faro del 1870 e le rovine del castello natale del Re Roberto I di Scozia, si concentrano secoli di storia e battaglie per l’indipendenza. Eppure, oggi, questo luogo carico di simbolismo si trasforma nel palcoscenico di una diplomazia privatizzata. Che un sito tanto emblematico sia finito sotto il controllo di un privato cittadino – per di più non britannico – dovrebbe destare interrogativi sul ruolo e sulla lungimiranza del governo scozzese.

  La recente scelta dell’Unione Europea di tenere un vertice bilaterale con gli Stati Uniti proprio a Turnberry rappresenta un cortocircuito di proporzioni istituzionali. Nonostante la natura "privata" della visita di Donald Trump in Scozia, come definita dalla stessa Casa Bianca, il confronto con la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha avuto luogo nella sua residenza personale, in totale assenza di un contesto diplomatico neutrale. Il premier britannico Keir Starmer e il primo ministro scozzese John Swinney erano entrambi presenti. Una partecipazione che lascia basiti, non solo per l’irregolarità del luogo scelto, ma per ciò che simbolicamente rappresenta: una Europa che si piega, docile, nell’anticamera di un magnate.

  Trump, con l’abituale tono trionfalistico, ha parlato di “intesa imponente” e di “accordo commerciale epocale” che rafforzerà i legami transatlantici. L’Unione Europea, ha annunciato von der Leyen, si impegnerà ad acquistare energia ed equipaggiamenti militari statunitensi per 750 miliardi di dollari, con l’abolizione reciproca dei dazi su beni strategici. Parole che, sul piano formale, trasudano diplomazia, ma che nel contesto in cui sono state pronunciate assumono un sapore di subalternità. Lo scivolone retorico della presidente – “questo è un accordo tra le due maggiori economie del mondo” – ha finito per rafforzare l’inopportunità della sede scelta: se davvero si tratta di due potenze alla pari, perché trattare a casa di una sola?

  L’intera vicenda si tinge di tinte surreali. Il viaggio di Trump in Scozia aveva come scopo dichiarato l’inaugurazione di un nuovo campo da golf a Menie, nell’Aberdeenshire, intitolato alla madre Mary Anne MacLeod, emigrata a New York a soli 18 anni. Ancora una volta, la linea di demarcazione tra interessi privati e carica pubblica si dissolve, trascinando l’etica politica nel marketing familiare. Nessun presidente in carica, nella storia recente delle democrazie occidentali, ha utilizzato con tale disinvoltura il proprio potere per promuovere imprese personali. E Turnberry diventa così la cornice ideale per questa rappresentazione distorta: un club trasformato in vetrina di relazioni internazionali, legittimato dalla presenza dei vertici europei.

  Il comportamento della presidente von der Leyen ha lasciato sgomenti. Le immagini parlano da sole: raccolta su un’ampia poltrona accanto a un Trump tronfio e compiaciuto, la leader europea appariva remissiva, intenta ad accondiscendere più che a negoziare. Se questo doveva essere il confronto fra pari, la postura istituzionale ha tradito un messaggio diametralmente opposto. Si è avuta la netta sensazione di assistere a una resa più che a una trattativa: una dinamica da signore e vassallo, degna della dialettica hegeliana tra servo e padrone.

  Non va dimenticato che Trump, appassionato golfista, è proprietario di ben 15 resort in tre continenti. Si narra, con tono beffardo ma non privo di fondamento, che se Gaza fosse stata sgomberata dalle sue macerie, avrebbe potuto ospitare anche lì un nuovo campo da golf – magari intitolato alla pace. Secondo alcune stime, il Tycoon avrebbe trascorso sul green quasi un quarto del suo mandato, con un handicap dichiarato di 2.4, il più basso mai registrato da un presidente americano, benché molti dubitino dell’attendibilità dei suoi punteggi, spesso autoattribuiti.

  Il golf, tuttavia, è solo la metafora di una politica piegata al personalismo, che confonde l’arena pubblica con l’interesse privato. In un momento storico in cui l’Europa dovrebbe riaffermare la propria autonomia e visione strategica, la scelta di Turnberry come sede per un incontro di tale rilevanza ha minato la credibilità dell’Unione. La dignità di un continente intero, rappresentato da 500 milioni di cittadini, è stata compromessa da un gesto che trasuda debolezza politica e inadeguatezza simbolica.

  Il prestigio non si misura in buche da golf né in contratti miliardari. Si afferma con la capacità di saper dire di no, di scegliere il luogo giusto, il tempo opportuno e, soprattutto, di non lasciarsi dettare le condizioni dal padrone di casa. Turnberry rimarrà, suo malgrado, il simbolo di un’Europa che ha smarrito la bussola, scegliendo il green al posto del rispetto istituzionale

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