L'angolo della lettura
18/04/2025 - La chiamata alle armi e la sopravvivenza della civiltà
Nessuno credeva fosse possibile e nemmeno immaginabile, ma la chiamata alle armi è ormai improrogabile, una questione di sopravvivenza di civiltà per il Vecchio Continente. Così le autorità europee, profondamente scosse ed attonite dalla brusca rottura avvenuta in diretta televisiva tra Trump e Zelensky, sembrano abbiano di tutta fretta deciso di intervenire per rinforzare la difesa europea mettendo sul piatto degli investimenti ben 800 miliardi di euro, di cui 150 per finalità militari comuni.
Somma da rastrellare tra i singoli stati
aderenti all’unione secondo il loro PIL; unica concessione è che questi fondi
non verranno conteggiati nel pareggio di bilancio dei singoli stati.
Mentre la necessità di provvedere ad una
comune difesa autonoma dagli US era ormai una consapevolezza diffusa da tempo, da
tutti condivisa, recepita dai vertici dei singoli stati come non più prorogabile
e rinviabile, nessuno pensava che la frattura con gli storici alleati americani
si verificasse in così breve tempo. Le modalità mediatiche si sono concretizzate
nello spettacolo televisivo al quale tutti con stupore abbiamo assistito, per
molti versi sconvolgente, fuori da ogni canone diplomatico, sicuramente fuori dalla
buona e civile convivenza.
Hanno fatto prendere coscienza che qualcosa
cambiava negli equilibri mondiali. L’imprevedibilità di Trump e la sua volubilità
politica hanno destato e destano sconcerto. Il suo “entourage” non è da meno. Con
il Vicepresidente James David Vance, di fatto il vero “falco” della nuova
amministrazione Trump, e il magnate Elon Musk, con il suo enorme e smisurato
potere economico e satellitare, le scelte della politica della Casa Bianca
sembrano così determinate, ormai definitivamente stabilite. La politica dei
dazi ha confermato all’Europa che le relazioni con gli US sono cambiate, ha
dato la conferma del nuovo imperialismo non solo economico che Trump vuole
imprimere alla politica degli US.
Il riarmo annunciato da parte dell’Europa ci
riporta agli anni bui precedenti la Seconda Guerra Mondiale, alla mobilitazione
che gli stati europei hanno vissuto prima che il grande conflitto, con tutta la
sua devastante distruzione, interessasse definitivamente tutto il Vecchio
Continente e molta parte dell’intero pianeta.
Dopo la tempesta mediatica andata in diretta
mondovisione dallo studio Ovale, Ursula von der Leyen, bypassando il Parlamento
europeo, ha puntato ad un accordo con i capi di Stato e di Governo dell’UE. La
proposta di stanziare 800 miliardi per rafforzare la difesa europea, senza
lunghe discussioni o veti istituzionali, è stata di tutta fretta approvata.
L’Europa cerca così di rispondere all’alzata
di scudi dell’istrionico Presidente Trump, che fa seguire al pensiero l’azione
con una raffica di decreti esecutivi firmati ad oras, sempre in diretta
televisiva, senza preoccupazione di eventuali conseguenze diplomatiche. Ora che
l’America si ritira dalla difesa militare dell’Europa e dal continuare ad
inviare armamenti all’Ucraina, il Vecchio Contenente si è accorto
improvvisamente della sua debolezza, dell’inconsistenza militare, dell’incapacità
di poter resistere ad un eventuale attacco russo sul suo territorio, perché la
Russia è ora il nuovo nemico.
Inutile descrivere le molte incongruenze
strategiche che l’Europa ha rispetto agli eserciti di Russia e US in testa. I
27 paesi dell’Unione europea hanno armamenti differenti, continenti in uomini e
disponibilità di mezzi molto eterogenei. Questa diversità del tipo di armamenti
limita l’interscambiabilità, aumenta le difficoltà di approvvigionamento,
ostacola una rapida sostituibilità. La mancanza di coordinazione tra gli Stati
e di un comando unico completano la fragilità militare della difesa europea.
Ogni Nazione provvede a se stessa. Il nuovo
piano di riarmo, ReArm Europe, ora mascherato dal nuovo neologismo “Readiness
2030”, approvato in prima istanza il 6 marzo dal Consiglio europeo non ha
intenzione di omogenizzare la spesa che continuerà ad essere differenziata. Così
continueremo ad avere diversi modelli di carri armati, la Francia il Leclerc e
il AMX-30, la Germania il Leopard 2, l’Inghilterra il Challenger 2, l’Italia l’Ariete
(150 unità, non tutte perfettamente efficienti), la Polonia il PT-91, come
diversi modelli di veicoli da combattimento per la fanteria. Questa
eterogeneità dei mezzi militari è una delle tante debolezze strategiche europee,
una fragilità che per ora sembra insormontabile, purtroppo determinante in un
eventuale conflitto.
In un
eventuale scenario di belligeranza non avere immediatamente a disposizione
pezzi di ricambio può far volgere velocemente le sorti di una guerra, trasformare
una possibile vittoria in una sicura sconfitta. I ricambi sono essenziali per la
logistica; avere sempre armamenti efficienti è fondamentale in una guerra. Come
per le armi terrestri la stessa situazione vale per l’aviazione e la marina.
L’amministrazione Trump spinge per un
disimpegno degli US dalla Nato. La NATO, Organizzazione del Trattato dell'Atlantico
del Nord, alleanza militare internazionale composta da 32 Stati dell’Europa,
Nord America e Vicino Oriente, venne istituita il 4 aprile 1949. L'articolo
cinque del trattato, sottoscritto dalle Nazioni partecipanti, afferma che un
eventuale attacco armato ad uno degli Stati membri sarà considerato contro tutti
gli altri membri che interverranno, se necessario e verificate le circostanze,
con le proprie forze armate.
L’Ucraina aspira ad entrare nella NATO. Questa
richiesta caldeggiata da molti Stati europei è vista dalla Russia come un
pericolo contro la sua integrità territoriale. E’ una delle cause che ha
scatenato l’invasione russa. Putin richiede esplicitamente di escludere per
sempre questa possibilità per sedersi al tavolo delle trattative, per
acconsentire anche ad una momentanea tregua.
Ora più che mai la prova di forza che ha
sempre preceduto la discesa in guerra sembra essere alla massima espressione,
sembra assumere il carattere della lotta tra due contendenti, o gruppi di
contendenti, che prima di scontrarsi mostrano i muscoli e dicono: “vediamo chi
è il più forte”. Come non condividere la frase di Axel Oxenstierna, illustre
politico svedese del Seicento, quando a suo figlio che stava per assolvere ad
un alto incarico ammonendolo esclamò:”Videbis, fili mi, quam parva sapientia
regitur mundis” !
Ma qui non si tratta della lotta tra due
gladiatori o tra due stati, ma di uno scontro di civiltà, del ritorno alla
barbarie, della scelta tra la belligeranza e la pacifica convivenza dei popoli.
Io scelgo la seconda, e voi?
