osservazioni medico oculistiche - Ecco perché Ventotene vale l’Europa

L'angolo della lettura

07/04/2025 - Ecco perché Ventotene vale l’Europa


“La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”. Questo è l’incipit del Manifesto di Ventotene che aveva per titolo originale “Per un'Europa libera e unita scritto da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni nell’agosto 1941. Per motivi politici furono confinati a Ventotene, isoletta nel mar Tirreno, come oppositori del regime fascista. Dopo il confronto con altri confinati Spinelli e Rossi definirono il testo del Manifesto con il particolare contributo dell'ebreo socialista Eugenio Colorni. All'epoca della stesura del testo sull'isola c’erano circa 800 prigionieri, 500 classificati come comunisti, 200 come anarchici ed i restanti prevalentemente come socialisti. Già questi iniziali indizi storici dovrebbero indurre rispetto, ponderazione nei giudizi, meditare prima di dare facili valutazioni sul testo del Manifesto e sugli autori senza considerare il clima politico di belligeranza che si respirava in Europa, motivo d’ispirazione per il loro progetto federale europeo. Altiero Spinelli, militante comunista e antifascista, fu fondatore del Movimento Federalista Europeo e cofondatore dell'Unione dei Federalisti Europei, membro della Commissione europea dal 1970 al 1976, del Parlamento italiano e quindi del primo Parlamento europeo nel 1979. Influenzò in maniera significativa i trattati istitutivi della CEE e dell'EURATOM, l'AUE, Atto Unico Europeo, documento che ha emendato i trattati di Roma del 1957 con cui è stata istituita la Comunità economica europea ed che ha dato inizio alla Cooperazione politica tra gli stati del Vecchio Continente. La denominazione "Parlamento europeo" è divenuta ufficiale dopo la firma dell’AUE, con il rafforzamento dei suoi poteri legislativi. Condivise gli articoli scritti negli anni Venti da Luigi Einaudi (secondo Presidente della Repubblica) sul Corriere della Sera e pubblicati col titolo "Lettere di Junius" con il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Tra i molti riconoscimenti gli fu assegnato il Premio Robert Schuman 1973 e, nel 1993, gli fu dedicata una delle due ali dell'edificio che ospita il Parlamento europeo a Bruxelles.; Ernesto Rossi, il “democratico ribelle” come lo definì Giuseppe Armani, volontario nella prima guerra mondiale, antifascista, dopo il delitto Matteotti pubblicò, con i fratelli Rosselli e Salvemini, il foglio clandestino “Non mollare”. Costretto all'espatrio in Francia, tornò in Italia dopo pochi mesi e si dedicò all'insegnamento, impegnandosi contemporaneamente nell'organizzazione del movimento politico Giustizia e Libertà. Sottosegretario alla Ricostruzione nel 1945 e nel 1955, contribuì alla fondazione del Partito Radicale. Nel corso della sua attività di pubblicista collaborò tra l'altro con l'Unità, la Riforma sociale, il Corriere della sera, La Stampa e Il Mondo.

  Eugenio Colorni, iscritto nel 1926 alla facoltà di lettere e filosofia di Milano, partecipò all'attività antifascista di quei Gruppi goliardici per la libertà che, fondati da Lelio Basso, Rodolfo Morandi e altri, benché ufficialmente già sciolti nel 1925, sopravvissero di fatto fino al 1928. Operò alla organizzazione del Partito Socialista di unità proletaria nato dalla fusione del gruppo giovanile del Movimento di unità proletaria (M.U.P.) e del Partito socialista italiano. Dopo la caduta del fascismo a Milano era presente all'incontro in casa di Mario Alberto Rollier il 27 e 28 agosto dove nacque il Movimento federalista europeo. Dopo l'8 settembre operò a Roma nell'organizzazione della Resistenza. Membro del comitato direttivo del nuovo Partito socialista, redattore capo dell'Avanti clandestino, si impegnò nella ricostruzione della Federazione giovanile socialista e nella formazione della prima brigata Matteotti. I suoi ultimi articoli sull'Avanti del 16 marzo e del 20 maggio 1944 analizzavano lucidamente la situazione politica dell'Europa alla vigilia della vittoria alleata, e si battevano per un moto di autentica rivoluzione dei popoli d'Europa contro ogni possibile imposizione e strumentalizzazione da parte dei vincitori. Fermato da una pattuglia fascista, fu ferito a colpi di mitra mentre tentava di fuggire.

 

Il Manifesto si compone di quattro capitoli:

 1) la crisi della civiltà moderna;

 2 ) i compiti del dopo guerra - l'unità europea;

 3) i compiti del dopo guerra - la riforma della società;

 4) la situazione rivoluzionaria: vecchie e nuovi correnti.

  Attraverso un’analisi precisa della situazione politica europea, nel documento si tracciano le linee programmatiche per la costituzione di una Europa unita e solidale, nonostante i popoli europei fossero in guerra tra loro. I vari capisaldi sviluppati e trattati nel primo capitolo hanno come incipit:

- Si è affermato l'eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti.

- Si è affermato l'uguale diritto per i cittadini alla formazione della volontà dello stato.

- Contro il dogmatismo autoritario si è affermato il valore permanente dello spirito critico.

Sono le basi programmatiche del Manifesto, i presupposti indispensabili per il progetto europeo federale.

  Il secondo capitolo tratta “dei compiti del dopo guerra - l'unità europea”. L’incipit “La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al riordinamento dell'Europa secondo il nostro ideale di civiltà” cerca di analizzare le prospettive che si potrebbero aprire una volta sconfitta la Germania. Presagire nell’agosto 1941 che il Terzo Reich potesse essere sconfitto era una previsione da molte parti auspicata, ma realisticamente pochi l’avrebbero data per certa. Il 7 dicembre 1941 i giapponesi bombardano Pearl Harbor con l’intento di mettere fuori gioco la flotta americana, senza tuttavia riuscire ad affondare le portaerei che non erano non in rada. Il giorno dopo, 8 dicembre, gli US scesero in guerra a fianco agli alleati. Con l’entrata in campo degli US le sorti della guerra cambieranno radicalmente così come il bilancio delle forze in campo.

  La previsione della sconfitta della Germania è un altro merito a favore degli autori del Manifesto, tanto da far scrivere: “Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell'Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale”.

   La straordinaria visione che traspare in questo secondo capitolo si evince chiaramente anche da questo passaggio: “Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni con gli altri paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun paese d'Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. E' ormai dimostrata la inutilità, anzi la dannosità di organismi, tipo della Società delle Nazioni, che pretendano di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti”.

  Grandioso appare qui il pensiero e la prospettiva per un esercito comune europeo, in questo tempo tanto invocato, e della lungimiranza politica del documento che, pur individuando nel Terzo Reich la causa prima del conflitto, tuttavia evidenziava che  “spezzettare la Germania” non era politicamente conveniente. La riunificazione della Germania avverrà solo dopo il crollo del muro di Berlino, (Mauerfall, parola tedesca che significa "caduta del muro”), il 9 novembre 1989, quasi cinquanta anni dopo!  

  Per non citare la straordinaria attualità del passo: ”Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la più semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle più vaste unità nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie”. Federazione Europea che ancor oggi non è pienamente attuata. E quanto scritto potrebbe valere anche per gettare le basi per la convivenza tra Israele e Palestina!

  Con uno sguardo arduo piuttosto che di auspicio si prospetta, oltre l’Unione Europea, una politica di unità dell’intero globo allorché si scrive: “quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanità, bisogna pur riconoscere che la federazione europea è l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unità politica dell'intero globo”.

  Il secondo capitolo termina con un augurio ed una prospettiva che delineano un preciso percorso politico per l’unificazione federale europea: “occorre fin d'ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”.

   Nel terzo capitolo i compiti del dopo guerra - la riforma della società” si parla di riforme e come realizzarli. L’incipit di questo terzo capitolo sembra la premessa per una futura costituzione europea: “Un'Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sarà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali”. A testimonianza del fatto che nel Manifesto non si parli “bolscevico”, gli autori scrivono: “La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione, non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell'economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione del giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia, come è avvenuto in Russia”.

   Da questa premessa deriva il contestato passaggio sulla proprietà privata, oggetto di tante discussioni ed aspre polemiche a mio parere del tutto inutili. Nel passaggio che precede la questione della proprietà privata si legge: Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma - come avviene per forze naturali - essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne siano vittime”. Dopo questa premessa si arriva al passaggio cruciale, alla gestione della proprietà privata: “Quelle forze (del progresso [N.d.R.]) vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilità di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilità per tutta la collettività. La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio”.

   La scelta di porre un argine alla proprietà privata viene inoltre motivata e finalizzata: “Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocratismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica”.

   Pertanto sembra del tutto attuale il passaggio “non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un'attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche)”, come se pensassero ai giorni nostri, agli US e agli stati che vorrebbero utilizzare la rete di satelliti di Elon Mush. E a rincarare la dose si precisa: “le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l'importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi istituti bancari, industrie degli armamenti). E' questo il campo in cui si dovrà procedere senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti”.  

Come non condividere questa posizione anche da destra?

   Ancora, nel terzo capitolo troviamo la discussione sulla giustizia sociale e il diritto allo studio per merito e non per censo:” In particolare la scuola pubblica dovrà dare la possibilità effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare, in ogni branca di studi per l'avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato”. Si avvalora il merito, si pensa ad una programmazione scolastica secondo la domanda del mercato. Visione più che attuale e moderna; purtroppo, dagli anni Novanta, il “numero chiuso” imposto dall’alto con i quiz è stato la peggiore risposta ad una giusta programmazione; la carenza non solo di medici ne è oggi la riprova.

  E ancora, sulla condizione sociale si scrive: “La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori”. Niente a che fare con il reddito di cittadinanza malauguratamente messo in atto in Italia.

  Sul rapporto con la religione si legge: “Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo andrà senz'altro abolito, per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti, e dovrà riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico”. E qui si deve capire l’influenza del periodo storico in cui gli autori scrivono. Le tante esperienze negative durante il Ventennio di una Chiesa più connivente che autonoma e critica rispetto al regime possono in parte giustificare su queste posizioni.

  Nel quarto e ultimo capitolo “la situazione rivoluzionaria: vecchie e nuovi correnti” inizia con il seguente incipit: ”La caduta dei regimi totalitari significherà per interi popoli l'avvento della "libertà" sarà scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola e di associazione”, si esaminano le diverse anime che hanno contrastato politicamente il regime fascista, particolarmente quelle che hanno avuto una partecipazione attiva alla lotta partigiana e, più in generale, le tendenze politiche presenti nel Vecchio Continente capaci di una rinascita politica e morale dell’Europa.

 Dopo la disamina delle caratteristiche positive e negative dei movimenti di ispirazione democratica e comunista si conclude che:  “Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, ed in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senza lasciarsi irretire dalla loro prassi politica”.

  Infine si afferma che il nuovo movimento rivoluzionario che dovrà fondare l’Europa: “deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli ambienti che sono i più importanti come centri di diffusione di idee e come centri di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani, vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è sottomessa alla ferula totalitaria, che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale”.

  Questo ultimo capitolo prospetta in pratica la “messa a terra” della riunificazione federale dell’Europa, muovendo dal contesto di guerra dei primi anni del 1940 in cui tutto non era ancora scontato, e la fine della guerra ancora lontana. E termina con l’auspicio: “Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell'attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l'eredità di tutti i movimenti di elevazione dell'umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non è facile né sicura, ma deve essere percorsa e lo sarà”.

  Se letto nella sua interezza e pensando al contesto storico in cui fu scritto, il Manifesto di Ventotene non può che trovare consensi, favorevoli giudizi, gratitudine da parte dei popoli europei. Tanta parte della nostra storia la dobbiamo a quelle visioni, a quelle speranze e a quei progetti. Ecco perché tutti gli italiani non dovrebbero su questo argomento dividersi ma ritrovarsi uniti, essere orgogliosi e fieri, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, per gli ideali di federalismo europeo contenuti nel Manifesto di Ventotene dove trovano la loro origine e, con la sua pubblicazione, la loro iniziale e proficua diffusione.  

 

firma


torna su