L'angolo della lettura
02/02/2025 - Dall’aquila testabianca alla firma di 100 decreti esecutivi
Chi ha visto l’insediamento di Ronald Trump, 47esimo Presidente degli US dopo esserne stato il 45esimo, non potrà non aver notato l’enorme differenza con le rappresentazioni europee per eventi celebrativi simili. Il supporto culturale per una cerimonia di così grande importanza, che coinvolge tutta una nazione e segna un avvenimento da ricordare, un passaggio legislativo e istituzionale di rilevanza, si manifesta e si caratterizza con immagini e simboli che diventano inevitabilmente nell’immaginario comune del tutto emblematici.
I passaggi istituzionali sono
rappresentazioni le più elevate e significative di una Nazione, costituiscono
una fotografia del costume culturale di uno Stato, del suo popolo, dei principi
costituzionali che sono a fondamento della convivenza civile, per i quali
fermamente si crede. Tali passaggi istituzionali scandiscono la vita di una
Nazione, sia essa una Repubblica o una Monarchia, costituiscono la base, i
pilastri di uno Stato, sono le occasioni nelle quali ci si sente uniti come
popolo e svelano, in modo eclatante, concretizzandosi plasticamente in riti e
cerimoniali, l’esaltazione e l’omaggio verso quei valori immortali dai quali si
trae origine, che hanno ispirato i principi fondanti da tutti condivisi.
In
Europa, in tali eccezionali occasioni, la sobrietà è la scelta obbligata, naturale.
Il protocollo da seguire una regola. Le celebrazioni istituzionali, proprio
perché eventi straordinari, hanno sempre norme di comportamento stabilite, un
rigido cerimoniale da rispettare. La carica istituzionale, per la valenza che
rappresenta, prevale e sovrasta sempre per importanza di gran lunga la
personalità che ne viene investita, che ne assume in quel momento il privilegio
di esserne testimone, e questo vale nella nomina di un Presidente di Stato,
come del Re di un Regno, o per il Presidente di un Consesso internazionale. L’autorevolezza
e l’autonomia dei differenti poteri istituzionali presenti, invitati di prassi
a questi eventi celebrativi, assumono un ruolo paritetico, mai subalterno per
prestigio e importanza alla carica che viene celebrata e proclamata.
Le personalità invitate in rappresentanza
delle alte istituzioni mantengono sempre un contegno di altissimo profilo; mai
nessuna sottomissione si può scorgere verso chi, in quel momento, viene investita
dell’alta onorificenza di cui si celebra solennemente l’insediamento. Gli
applausi sono una consuetudine di buon costume; concludono di solito la fine
dell’investitura. Eventuali standing ovation sono rari gesti di consenso,
riservate a momenti particolarmente esaltanti, di notevole valore simbolico.
Nell’insediamento di Trump al Campidoglio abbiamo assistito ad un susseguirsi interminabile
di applausi ad ogni passaggio del discorso del neo-Presidente; le standing
ovation una ritualità tante volte ripetute da diminuirne l’efficacia, la
valenza simbolica, per diventare gesto condiviso di compiacimento, di supino asservimento.
I toni di arringa utilizzati da Trump nel
discorso di insediamento del tutto simili a quelli della sua campagna
elettorale, durante il quale ha con disinvoltura affermato di essere scampato
divinamente all’attentato del 13 luglio per salvare l’America, per riportare
una nuova era dell’oro, sono diventati del tutto irriguardosi quando si è
riferito all’operato del suo predecessore Joe Biden presente alla cerimonia
assumendo, a tratti, i toni della vera maleducazione, della voluta
mortificazione. Ad un passaggio di consegna istituzionale, in qualsiasi paese
civile di solide tradizioni democratiche, il neo-eletto ad incarico di così apicale
prestigio non avrebbe mai utilizzato un linguaggio così umiliante verso il suo
predecessore, almeno per omaggio alla continuità istituzionale. Sono stati usati
invece toni di vibrante veemenza, dissacratori verso chi passava il testimone,
sul quale è stata riversata ogni umiliante contumelia. Nessun galateo è stato seguito,
nemmeno il più basilare ed essenziale. Si è oltrepassato ogni immaginaria
maleducazione con plateale sconcezza.
Il rituale balletto messo in scena da Trump
inoltre, se poteva essere di qualche attrazione e ricevere consensi di simpatia
nei comizi elettorali, riproporlo in un’occasione così istituzionale come l’insediamento
presidenziale non è stato di certo di stile. E’ questione di scelte
culturali, di principi etici personali si può obbiettare. Certamente. Ma quanto
di quelle pantomime sono invece frutto del sentimento radicato di un popolo, di
una Nazione? Sono solo testimonianza dell’esuberanza di Trump? Qualcuno può
immaginare qualcosa di simile negli Stati europei, in Inghilterra come in
Francia, in Spagna come in Italia?
Per ultimo la firma dei cento decreti
esecutivi. L’autorità di indire leggi immediatamente esecutive senza passaggio
parlamentare è sancito dall'articolo II della Costituzione americana. Gli
ordini esecutivi rimangono in vigore se non annullati, abrogati, bloccati o
revocati dall’ordine giudiziario o dal Parlamento. E’ una prerogativa
costituzionale discutibile ma legale. La rappresentazione che Trump ne ha fatto
tuttavia è stata una manifestazione del tutto insolita nella storia degli US. Un’esibizione
di forza, di potere del nuovo Presidente, di capacità di agire, di risolvere
con una firma i problemi della Nazione, una prestazione folgorante, muscolare.
Questa possibilità, consentita dalla Costituzione statunitense, è stata sempre
utilizzata con parsimonia ed riservatezza dai precedenti presidenti, mai con
spettacolarizzazione a favore di telecamere. Il personaggio Trump prima con
l’aquila testabianca sulla mano, ora con la firma dei cento decreti legislativi,
si alimenta di questi iconici atteggiamenti goliardici, di queste messe in
scena tanto plateali quanto caricaturali.
Al termine di tutta la cerimonia
teletrasmessa in mondovisione resti attonito, con il pensiero smarrito tra la perplessità
e il dubbio, tra lo sconcerto e l’amara presa di coscienza del livello attuale della
politica negli US. Se questi sono i valori portati da sempre come modello di
democrazia, emblema da ammirare ed emulare, si resta turbati, delusi, umanamente e
moralmente mortificati. E’ proprio vero: un gesto qualifica una
persona ed una cerimonia di stato rappresenta il livello culturale di una
nazione. E se la nazione in questione è la più potente del pianeta la preoccupazione
aumenta, il turbamento diventa incubo non solo per il presente ma anche per il
futuro della democrazia nel mondo.
