L'angolo della lettura
25/11/2024 - Il linguaggio della violenza e la convivenza democratica
Il linguaggio è il modo più efficace e comune per relazionarsi, per trasmettere informazioni, notizie, sensazioni, per dare una risposta alle domande dei nostri simili. Trae origine da molto lontano. È una qualità della vita umana acquisita nel tempo che progressivamente si è evoluta ed adeguata ai crescenti livelli culturali dei popoli. Ricco e variegato nelle forme, con accenti diversi secondo le aree geografiche, frammisto di vocaboli che traggono origine da tradizioni e culture differenti, regola e determina i rapporti tra i singoli individui in maniera diretta nel modo più efficace.
Aristotele definisce l’uomo animale dotato di
linguaggio “zoon logon echon”,
animale razionale, essere vivente dotato di ragione, connotato dal linguaggio,
capace di discussione e dialogo. A partire dalla natura linguistica dell’umano
si può comprendere l’altra celebre definizione aristotelica, secondo cui l’uomo
è “zoon politikon”, animale politico, coinvolto in una rete di legami sociali possibili
con l’esercizio del linguaggio.
La rivelazione ebraico-cristiana ha poi
assegnato alla parola un ruolo privilegiato nel rapporto tra Dio e l’Umanità:
basti pensare al Prologo del Vangelo di Giovanni, in cui Cristo viene
identificato come Logos, pensiero incarnato nella parola. Lungo i secoli
numerosi pensatori si sono interrogati sul rapporto tra linguaggio e vita
umana. Nel Novecento, ad esempio, il filosofo tedesco Martin Heidegger ha
parlato del linguaggio come “casa dell’essere” e “abitazione dell’essere
umano”, vale a dire come luogo proprio entro cui si svolge e acquista senso la
vita dell’uomo.
Al linguaggio si associano inevitabilmente
atteggiamenti e modi d’agire, di rapportarsi con i propri simili e con chi
simile non viene ritenuto per razza, religione, estrazione sociale, pensiero
politico, tendenza sessuale. Linguaggi e modi di dire si intrecciano, si
accomunano e si supportano potendo accentuare contrasti e distinzioni per arrivare
alla discriminazione, al bullismo, alla violenza e alla vera sopraffazione.
Inizialmente solo in alcuni film con scene di
violenza giustificata dall’autodifesa, dopo in sceneggiature basate per intero
sulla violenza fine a se stessa senza alcuna motivazione, in seguito in spettacoli
anche di intrattenimento, il mezzo audiovisivo che ha l’impatto principale
sull’opinione pubblica prima dell’avvento dei social, ha instillato nella
mentalità dei più giovani bypassando ogni parental control una strisciante
imitazione delle azioni, ha esaltato personaggi spietati come simboli da emulare,
proposto come normale comportamenti di sopraffazione spacciandoli come
vincenti. Queste scene sono diventate cultura, nell’immaginario comune, hanno
trovato terreno favorevolmente fertile nei giovani specie nelle periferie, nelle
zone dove la presenza dello stato è latitante, dove i valori umani si dileguano
nella quotidiana sopravvivenza.
Così le nuove generazioni sono diventate sempre
più ingestibili, irrequiete, senza obbiettivi, senza regole da seguire se non
quella della estemporaneità e, spesso, della violenza. La scuola è
assolutamente impotente. Nessun rimprovero, non bocciature, mai una sospensione
sono possibili; si tollera ogni atteggiamento di aggressione anche verso il
corpo docente, discolpando con mille giustificazioni le azioni dei giovani che
invece hanno tutti i connotati della censura, della giusta repressione.
Il buonismo diffuso nel tutelare e
giustificare sempre e comunque gli atteggiamenti dei giovani con le più fantasiose
motivazioni, in famiglia come a scuola, induce e incoraggia ad avallare
attività violente e antisociali. Molte insegnanti (la classe dei docenti è
pressoché ormai tutta di sesso femminile) di frequente non possono nemmeno
entrare nelle classi sopraffatte come sono da vituperi, insulti verbali, prevaricazioni
fisiche dirette ed indirette. Portare avanti un programma didattico è ormai un
miraggio; azzardare valutazioni che non siano di approvazione e promozione alle
classi superiori ancor di più.
La mancanza di nascite in Italia più che in
altre Nazioni si traduce in una diminuzione del numero degli studenti; tale
carenza favorisce nella scuola la mancanza di rigore. La sussistenza delle
cattedre e il non trasferimento in altra sede di colleghe che ne verrebbero
danneggiate dipende del numero degli iscritti ai singoli indirizzi di studio. La
promozione scolastica di massa indiscriminata, anche per questo motivo, trova
facile terreno, viene adottata di fatto ormai da anni. Si crea così una scuola sempre
meno selettiva, senza valori da far rispettare, senza competizione, un
parcheggio di menti dormienti. Anche se molti potrebbero essere potenzialmente
capaci di applicarsi ed emergere, si preferisce di fatto l’appiattimento del
merito e delle singole individualità. L’asserzione che ha prevalso negli ultimi
anni in politica tanto deleteria quanto perversa per cui “uno vale uno”, mai
come in questo caso è stata fatta propria, applicata pienamente nella scuola.
Tralasciando le periferie in cui si vive una
condizione di emarginazione e di degrado, dove i valori umani stentano a prevalere
a favore degli intrighi per la sussistenza, guardando nel mondo della media
borghesia si constata la pratica diffusa dell’accondiscendenza, del dare ai
figli tutto ciò che chiedono, del permissivismo. La formazione religiosa
attraverso le parrocchie, una volta presente nel percorso di tanti giovani oggi
è pressoché svanita, ininfluente, distante dalle aspettative e dagli interessi
delle nuove generazioni. L’assenza totale di ogni stereotipo da imitare, da
emulare e da inseguire fa sentire i giovani dispersi, incerti, disorientati. La
rappresentazione dei valori fatta dai mass media rimane l’unico modello
emergente, che faccia intravedere e garantire il successo. I divi del momento,
che incarnano sempre più figure surreali e del tutto aliene da ogni etica e
regole, sono presi a modello, come totem da inseguire, in cui identificarsi.
Così il linguaggio inevitabilmente si inasprisce,
diventa modalità di prevaricazione, per assoggettare gli altri, assumendo i connotati
dell’irriverenza. Chi alza la voce ha ragione, a prescindere dal contenuto. La
legge del più forte ritorna nelle periferie come nei quartieri bene delle città,
si rafforza con l’uso personale di armi contundenti di ogni genere mostrate
come trofei in bellavista per intimidire, per innalzarsi sopra altri, per
rappresentarsi come leader. Si potrà cambiare questa tendenza? Come far
sopravvivere i valori che hanno ispirato intere generazioni, fatto progredire
il genere umano? Si potrà mai più avere una protesta senza violenza,
un’opposizione senza sopraffazioni, una visione diversa della vita e della
società senza ricorrere all’insurrezione? Questi interrogativi sono senza
risposta, si infrangono contro il muro dell’indifferenza, non sono al centro
della politica.