L'angolo della lettura
17/06/2024 - Il ruolo dell'opposizione in un sistema parlamentare democratico
Molto spesso dopo una consultazione elettorale regionale, nazionale o europea, la parte politica che perde le elezioni si sente frustrata, inizia un’analisi delle cause che hanno determinato gli scarsi risultati, una revisione delle strategie elettorali e della comunicazione, non senza possibili scossoni nella dirigenza al vertice, a volte con le dimissioni dello stesso leader. I sistemi democratici si definiscono liberali anche per il ruolo non secondario delle opposizioni. E il grado di salute di un sistema politico si giudica dalle concrete garanzie e diritti che ha l’opposizione di parlare “fuori dal coro”.
L’opposizione politica nelle democrazie compiute ha una funzione costituzionale fondamentale, irrinunciabile per il bilanciamento corretto del potere delle istituzioni. Il contrasto al potere di un governo nasce dalla necessità di limitarne gli abusi e migliorare le capacità di emanare leggi che siano a favore del popolo. Queste prerogative delle opposizioni, di freno e controllo alla maggioranza di governo, hanno anche funzioni propositive: maggioranza ed opposizione, espressione entrambe della volontà del popolo, dovrebbero sempre lavorare per il bene comune, migliorare la qualità di vita della comunità, tendere insieme allo sviluppo dello stato.
Il primo riconoscimento del ruolo dell’opposizione, in un parlamento liberamente eletto dal popolo, è testimoniato già dal 1831 con l’istituzionalizzazione della Majesty's Loyal Opposition di Londra. Il leader del maggior partito di opposizione riveste un ruolo del tutto particolare in Inghilterra. È considerato un primo ministro alternativo, consultato per nomine o decisioni bipartisan come capo di un governo ombra, il “shadow cabinet”.
Il governo ombra è costituito da parlamentari incaricati di seguire da vicino i corrispondenti ministri del governo, criticandone eventualmente l’operato. Se il partito di opposizione alla scadenza del mandato governativo vince le elezioni, il leader dell'opposizione diventa di solito primo ministro e i ministri ombra occupano i posti nel governo in carica. È il cosiddetto “Sistema Westminster” dove l’opposizione è conflittuale ma istituzionalizza.
Nei sistemi come quello britannico la competizione tra maggioranza di governo e opposizione ha lo scopo di garantire l’alternanza al potere dei partiti; il dibattito, anche serrato ed aspro, garantisce un sano ricambio democratico. La conformazione del Parlamento di Westminster rappresenta plasticamente questo disegno politico: i seggi dei parlamentari sono disposti in due file di fronte, da una parte siede la maggioranza e dall’altra l’opposizione.
Il sistema inglese è stato esportato in molti altri stati anche se spesso modificato in alcuni aspetti. Per dar forza all’azione dell’opposizione le carte costituzionali ed i regolamenti dei relativi parlamenti permettono la pratica dell’ostruzionismo. Così, in alcuni momenti e per temi particolarmente sentiti, l’opposizione può con interrogazioni multiple e interventi fiume di singoli parlamentari rallentare l’approvazione di una legge che ritiene dannosa e ingiusta. Sempre per il bene comune in alcune condizioni storiche ed economiche di particolare gravità opposizione e governo possono collaborare e formare ampie coalizioni governative.
Secondo le note teorie di Hans Kelsen, giurista e filosofo austriaco, maggioranza e opposizione possono collaborare per raggiungere un condiviso programma.
In Italia governi di larghe coalizioni, come quello Draghi, hanno caratterizzato un’opposizione “compromissoria”, dando origine ad un governo di larghe intese. I governi di coalizione e di larghe intese, denominati anche “di scopo”, restano in una democrazia moderna tuttavia forme governative eccezionali, non ripetibili nel lungo periodo. Si basano sul principio “aut simul stabunt aut simul cadent”, o si governa tutti insieme o si decade. Il ruolo dell’opposizione è pertanto altrettanto importante quanto quello della maggioranza di governo.
Da quanto si osserva invece in Italia l’opposizione, indipendentemente dal colore politico, svolge un compito più distruttivo che costruttivo. Gli interventi non sono solo censori verso il governo ma anche, troppo spesso, denigratori verso singoli provvedimenti legislativi e, ancor di più, verso le persone. Si è testimoni di attacchi sempre più personali, di atti che tendono a discreditare il ruolo dei singoli parlamentari, rendere palese la loro incapacità nel ricoprire quel ruolo. Lo spirito che anima l’attività dell’opposizione in Italia non è sempre la ricerca del bene comune, almeno così appare dalle dichiarazioni sui media, ma quello di sostituirsi, sic et simpliciter, alla maggioranza.
Ad esempio la frase di Elly Schlein, capo dell’opposizione, a commento dei risultati elettorali appena proclamati, “stiamo arrivando”, tradisce questo stato d’animo aggressivo, di pura rivalsa, un livore ingiustificato se non dall’avversione viscerale verso l’avversario, in questo caso un’altra donna, la Meloni, pur in condizioni di un successo elettorale che le ha viste vincitrici di questa tornata elettorale in modo del tutto bipartisan. Del resto pari dichiarazioni bellicose vengono lanciate dalla maggioranza nell’intento di demolire la credibilità delle opposizioni. Si osserva un gioco al massacro, una delegittimazione vicendevole, senza sapere che le parti sono alternative, entrambe delegate e legittimate a governare il paese, e questo tipo di polemica allontana gli elettori dalla politica aumentando l’astensionismo.
In particolare i risultati delle europee appena concluse avrebbero dovuto placare gli animi almeno per un giorno, far beneficiare e godere le parti per i risultati brillantemente raggiunti. E invece subito l’invettiva, subito l’augurio della caduta, della disfatta. Che dopo è sì disfatta di un partito e del suo segretario, ma soprattutto è disfatta di tutto il paese. E di frasi taglienti e cattive umanamente prima che politicamente ne arrivano copiose da entrambi gli schieramenti, senza distinzione di colore politico, indipendentemente dalle personalità coinvolte. Perché tanto accanimento personalistico? Perché sempre e comunque l’operato di un governo non va bene all’opposizione e l’operato dell’opposizione non va bene alla maggioranza?
Ma il fine ultimo non è il bene dell’Italia? Non è il benessere degli italiani? Sembra proprio di no. Appare da più parti che il fine della politica sia il benessere del singolo partito e della segreteria che quel partito dirige, quasi mai il bene di tutti. E questo non è solo un male generico, ma è il male assoluto della politica, che smette di vedere il paese come suo obbiettivo e persegue solo il personale tornaconto. Quando sentiremo finalmente dire al capo dell’opposizione: ora tocca a voi maggioranza che avete vinto le elezioni; buon lavoro, noi vi saremo accanto per stimolarvi, criticarvi se necessario; resteremo in panchina da riserva pronti a scendere in campo.
E quando sentiremo dire alla maggioranza: abbiamo bisogno del vostro sostegno, delle vostre osservazioni per migliorare l’azione del governo; vi chiediamo suggerimenti, costruttive critiche, di collaborare con noi? Perché la partita da vincere in un paese veramente democratico non si gioca tra maggioranza ed opposizione, ma tra la civiltà e la barbarie, tra politiche sociali e quelle per il privilegio di pochi, tra la tutela e l’incoraggiamento ai giovani e la protervia degli epigoni dello status quo.