osservazioni medico oculistiche - La Pandemia che decimò la popolazione dell’Europa: la Peste Nera

L'angolo della lettura

06/04/2024 - La Pandemia che decimò la popolazione dell’Europa: la Peste Nera


    Da quando è scoppiata la Sars-CoV2 si sono cercate da parte degli epidemiologi e degli storici possibili assonanze, probabili similitudini con le altre pandemie. Ma inutilmente. La speranza di trovare utili risposte nel passato per il presente, e per il nostro futuro, è mal riposta. L’evoluzione della medicina e la possibilità dei vaccini, approntati in tempi record, fanno la differenza con le tragedie infettive del passato. La campagna vaccinale mondiale ormai avviata da tempo non ha riscontro nella storia dei popoli e delle nazioni. Con miliardi di persone vaccinate, e altrettante da vaccinare, lo sforzo della scienza è stato e continua ad essere senza precedenti, straordinario, di portata epocale. A leggere le fonti che descrivono le pestilenze del passato c’è da prendersi spavento, provare vero sconcerto. Non sono state tanto le guerre a decimare la popolazione dell’Europa quanto le grandi ondate di contagio di peste bubbonica che, dal Medioevo, hanno interessato l’intero Vecchio Continente, incessantemente dal 1331 al 1720.
Tutta colpa dei ratti? Cicli pandemici, danze macabre
   Il bacillo della peste si trasmette con la puntura della pulce dei ratti, (Xenopsylla Cheopis Roth), o dell’uomo (Pulex irritans). Il ratto comune (Rattus Rattus) infetto trasmette il contagio all’uomo attraverso gli abiti, strofinacci o il riempimento dei letti, all’epoca fatto di paglia o cenci. Quando vi sono meno di dieci gradi centigradi la pulce rimane inattiva; i maggiori contagi si verificarono infatti nelle stagioni estive. La pestilenza ha avuto origine nei centri urbani più popolosi, in particolare in quelli portuali; la peste “corre sui mari e sbarca nei porti”. L’epidemia si diffonde più frequentemente nella forma bubbonica per puntura della pulce dell’epidermide, con formazione di necrosi e pustole sulla cute di colore blu tendente al nero, da cui il nome. Dopo due o tre giorni si ha rigonfiamento dei linfonodi che, per adenite satellite, diventano purulenti, dei bubboni (bubo-onis, inguine, tumescenza inguinale che sostituì il termine gavocciolo), più frequenti nella regione inguinale, ascellare o al collo. La via aerea provoca, invece, la peste polmonare molto più rischiosa e grave; nell’epoca giustinianea questa forma più rara, portava a morte repentina il 90-95% dei soggetti colpiti.
   La peste bubbonica si è manifestata in tre cicli pandemici: la peste di Giustiniano (541d.C-767d.C.), la morte nera iniziata nel Trecento e protrattasi nelle pestilenze del Seicento, e la peste asiatica della seconda metà dell’Ottocento. La peste o morte nera del Trecento è stata descritta in molte opere letterarie e raffigurata in più di un dipinto. Tra tutte le opere letterarie il Decameron, capolavoro del Boccaccio, dove la “mortifera pestilenza” diventa la cornice perché “un’onesta brigata” di dieci giovani fugga dalla città per riparare in una villa di campagna raccontandosi una novella al giorno. Il Certaldese scrive che giovanetti meno fortunati, in perfetta salute «la sera vegnente appresso nell’altro mondo cenaron con li lor passati».
  Tra tutti i dipinti raffiguranti la peste, la danza macabra è senza dubbio la rappresentazione più suggestiva di quel periodo. Tra le tante, quella realizzata sulle mura del vecchio Cimitero degli Innocenti a Parigi nel 1424, è la più suggestiva; ne ritroviamo repliche in molte altre città d’Europa. Questi dipinti raffigurano una danza senza musicanti, fra uomini e scheletri, con la funesta intensione del “memento mori”. La peste nera rappresentò un disastro immane dell’età medievale per tutto l’Occidente allora conosciuto. È probabile che abbia avuto origine da un focolaio endemico ai piedi dell’Himalaya. Annidati nella pelliccia dei roditori, i bacilli della peste si trasmisero nel mondo allora conosciuto viaggiando nei bagagli delle carovane sulla Via della Seta, o nelle stive delle navi.
Anche nel Medioevo il contagio iniziò dalla Cina
  Nel 1331 si diffuse ben presto in tutta la Cina per lo spostamento dei mercanti. In pochi anni la popolazione dell’Impero Cinese crollò da 125 milioni a 90 milioni. Secondo altre fonti, durante la dinastia Ming del 1368, la popolazione scese a 60 milioni di abitanti. Tra il 1346 e il 1348, ottocento anni dopo la strage di Costantinopoli, dall’Asia la peste bubbonica fece così ritorno in Europa. L’inizio del contagio europeo è stato individuato nell'assedio tartaro della Città di Caffa, colonia genovese, odierna Feodosia, affacciata sul Mar Nero nella grande penisola della Crimea. Nei primi di ottobre del 1347 alcune navi genovesi approdarono da Caffa nel porto di Messina, diffondendo il contagio all’intera Sicilia. Nel dicembre dello stesso anno raggiunse Reggio Calabria e, nella primavera del 1348, Amalfi e Napoli.
  Dalla Sicilia la peste si diffuse in Nord Africa, Sardegna, all’isola d’Elba, in tutta l’Italia Settentrionale, nei porti di Pisa, Genova, Venezia e nella Dalmazia. A metà del 1348 arrivò in Francia, Spagna, e, a fine anno, in Inghilterra. Successivamente il contagio colpì i Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Austria e Ungheria. A metà del 1349 giunse in Scandinavia, nel 1350 in Svezia e tra il 1351 e 1352 nell’attuale Russia. La vastità del contagio era dovuta al topo “viaggatore”, o all’uomo, “portatore malato”, vettori dell’epidemia, anche se altre teorie di diffusione sono state proposte. La particolare velocità riproduttiva dei topi giustifica in gran parte la diffusione di questa pandemia. Delle tre specie di roditori più diffuse, il Rattus Norvegicus o di fogna, il Rattus Rattus o nero e il Mus Musculus o topolino delle case, il primo è dominante tra i roditori urbani per l’ottimale potenziale riproduttivo, abitudini alimentari onnivore, alta plasticità adattativa e organizzazione sociale in gruppi molto numerosi.
Abitudini di vita, credenze popolari, misure di contenimento
  Topi e ratti hanno maturità sessuale precoce, speranza di vita 3/12 mesi, 3/8 cucciolate l’anno, 4/10 nuove unità per parto. Una femmina di topo domestico nell’arco di un anno è in grado di procreare fino a 96 figli, 253.760 discendenti! L’OMS ha decretato ratti e topi come causa di zoonosi, malattie trasmissibili da animali. L'ubiquità delle pulci in ratti e topi, e la diffusione di questi roditori, favorirono la diffusione dell’epidemia. Era altresì opinione comune in quell’epoca che questi sgraditi parassiti fossero ospiti ineliminabili anche nell’uomo. Il bacillo si propagava così facilmente da uomo a uomo attraverso la saliva e le vie respiratorie. Era teoria molto accreditata che la “corruzione dell’aria”, per imprecisate e fantasiose congiunzioni astrali, agevolasse in qualche modo la diffusione della pestilenza. I consigli per evitare il contagio erano molto simili a quelli attuali: rifugiarsi in campagna lontano dalle città, chiudersi in casa al riparo dai venti malvagi, respirare profumi, far fumo con legna umida. Provvedimenti più stringenti vennero messi in campo a Venezia e Milano. Venezia fu la prima città ad emanare la clausura per arginare la diffusione della peste, istituendo luoghi di reclusione nell’isola di Santa Maria di Nazareth, detta Nazarethum, da cui il termine lazzaretto.
  Sempre i veneziani furono a istituire la contumacia, il completo isolamento sanitario, obbligando le navi a restare al largo per trenta e, subito dopo, per quaranta giorni per proteggere la città dalla “peste nera”. Numerosi sono i riferimenti al numero 40 nel Vecchio e Nuovo Testamento che ne decretarono la scelta: Gesù fu tentato per 40 giorni e 40 notti (Matteo 4:2); 40 sono i giorni tra la resurrezione e l'ascensione di Gesù (Atti 1:3). Il termine quarantena ebbe, anche per tali riferimenti biblici, facile successo, persistendo in tempi di COVID-19. A Milano la forte autorità dei Visconti impose rigide limitazioni all'ingresso in città di merci e persone, con tassativo obbligo di restare in casa alle famiglie con infetti. Queste norme molto rigide, fatte eseguire dalle autorità con estremo rigore, mitigarono sensibilmente il contagio nella città. La disponibilità di vasti territori rurali dove trovare facile rifugio, contribuì ulteriormente a limitare la diffusione dell’epidemia in città. Altro rimedio molto utilizzato era il salasso; si riteneva allontanasse dal corpo gli “umori corrotti e putridi” e quindi la malattia. Al contrario, le processioni religiose quasi quotidiane organizzate dalla Chiesa per scongiurare la pestilenza, ritenuta un castigo divino, contribuirono a diffondere il bacillo tra i fedeli.
    Dopo ogni processione si verificavano puntualmente nuovi contagi e decessi. È facile supporre che l’avanzata inesorabile del morbo spingesse ad indire nuove cerimonie, suppliche e preghiere collettive, con ulteriore incremento di contagi. Forme di isterismo collettivo ben presto si svilupparono nella popolazione. Il più eclatante delirio popolare fu la comparsa delle “bande di flagellanti o disciplinati”, orde di penitenti che si fustigavano per le vie delle città nella speranza di attenuare la collera divina. L’autoflagellazione pubblica come forma di devozione e penitenza era stata istituita da Ranieri Fasani, monaco eremita francescano morto a Perugia nel 1281.
   Questi gruppi di fanatici, nonostante il divieto esplicito di Papa Alessandro IV a riunirsi e indire processioni, raccolsero oltre 10.000 proseliti in ogni ceto sociale, specialmente in Italia, Germania e Francia. Carattere di ulteriore fanatismo di questa setta era la pratica della caccia agli infedeli, gli untori del morbo, individuati di volta in volta negli ebrei o nei lebbrosi: così terminavano le loro funeste e macabre manifestazioni. Il 14 febbraio del 1349 a Barcellona, Lerida e a Strasburgo vennero arsi sul rogo circa 2000 ebrei e lebbrosi sospetti di diffondere la peste. Questi episodi di fanatismo collettivo purtroppo continuarono per molti anni.
Decimata la popolazione europea
    Dopo il 1350 si ebbero nuove ondate epidemiche, ogni dieci-quindici anni. Solo le migliorate condizioni sanitarie del XVIII determinarono l’estinzione della peste; il bilancio, in termini di vittime, fu però tragico. La peste nera colpì l'Europa con differente intensità: il Belgio, Praga e alcune regioni della Polonia ne rimasero quasi indenni; altre, invece, furono colpite pressappoco per intero. L’indice di mortalità risultò più elevato nelle aree densamente popolate e con intensi interscambi economici; i dati a disposizione rendono tuttavia difficile un preciso calcolo dei morti. In Italia la peste risparmiò parzialmente Milano con 15.000 morti su circa 100.000 abitanti; Firenze, colpita da cinque ondate epidemiche, invece, fu decimata per quattro quinti dei suoi abitanti (80%!).
   In Europa nello spazio di tre o quattro anni morì un terzo della popolazione, stimata, all’inizio del Trecento, in 75-80 milioni. Fonti storiche autorevoli riportano che il declino della popolazione europea continuò per tutto il XIV secolo, arrivando ad un minimo di 30 milioni di abitanti nei primi decenni del XV secolo. Si dovette aspettare l’inizio del XVI secolo per avere un numero di abitanti in Europa superiore a quello registrato nel 1347.
   Fra la metà del Trecento e metà del Quattrocento sono state individuate sette ondate epidemiche. Tra il 1629 e il 1633 una nuova ondata di epidemia di peste colpì diverse zone dell'Italia settentrionale, il Granducato di Toscana, la Repubblica di Lucca, si diffuse in Svizzera, con il massimo contagio nel 1630. La città di Milano, dopo trecento anni dalla peste nera del 1347, fu gravemente colpita da questa nuova ondata epidemica. Si stima che la peste manzoniana descritta mirabilmente dall’autore dei “I Promessi Sposi”, e più dettagliatamente nel suo saggio storico, meno noto, la “Storia della colonna infame”, colpì nell’Italia settentrionale 1.100.000 persone su 4 milioni circa di abitanti. L’epidemia infine si trasformò in gran parte del continente in endemia fino al XVIII secolo. L’ultima grande pestilenza è stata registrata a Marsiglia nel 1720.
Amare consolazioni
  Se facciamo il paragone con l’attuale, la Peste Nera fu un’immane catastrofe: il confronto con l’attuale pandemia è incongruo per i numeri dei morti e i disagi della popolazione, in quel periodo indicibili. Possiamo consolarci? Sicuramente sì, grazie al progresso della medicina. Resta il dato sconcertante di essere noi la causa dei contagi, direttamente o indirettamente. Le abitudini di vita e le nostre credenze sono restie a cambiare, a cadere completamente, anche nel Terzo Millennio. Purtroppo, come si è evidenziato, i nostri modi di vivere sono fonte indiscutibile di contagio, e possono alimentare la trasmissione delle infezioni a rapido sviluppo.   

firma


torna su